Una riforma sghemba e dagli esiti infausti, questo accadrebbe se al referendum sul taglio dei parlamentari passasse il sì. E’ l’opinione dell’ex premier e senatore a vita Mario Monti.
Un pasticcio senza costrutto, ispirato dalla demagogia del M5S e dal populismo usato dal Movimento come cifra identitaria per coprire il proprio dilettantismo. Questa, in sintesi, la critica che il senatore a vita Mario Monti muove all’iniziativa referendaria voluta dai Cinque Stelle e a cui hanno aderito – spesso a malincuore e non senza contraddizioni e strazi interni – la maggior parte dei partiti. Monti sembra non avere mai avuto tentennamenti sul tema. Nel corso di un’intervista al Foglio scandisce bene e senza incertezze – come suo stile – il proprio discernimento sul tema: “Serve dimezzare il numero dei parlamentari e serve anche una nuova legge elettorale per restituire ai cittadini la scelta dei propri rappresentanti” dice, ma non così.
Tuttavia a questa premessa, che lascerebbe presagire un sì, si premura di aggiungere, subito dopo: “Voterò contro, perché il taglio dei Parlamentari ha un senso solo se accompagnato da una riforma della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari. Altrimenti si cede solo alla demagogia, e sarebbe ora che questo paese smettesse di pagare il prezzo delle promesse del M5s, sull’antipolitica come sul Mes, solo perché si è eretto a guida spirituale del paese un brillante ex comico“.
E l’avversità nei confronti del Movimento Cinque Stelle sembr davvero fare la differenza nelle scelte del senatore. Perchè, ricorda bene il Foglio, alla vigilia delle elezioni nell’anno del Signore 2013 – quando Monti tentò l’avventura della politica dimenticando promesse e rassicurazioni in senso contrario elargite durante la sua esperienza da Premier – tra i punti programmatici delle sua Scelta Civica c’era appunto il taglio dei parlamentari, con frasi che sembrano uscite dalla tipografia anti casta dei Cinque Stelle. Il senatore a vita diceva di voler “Dimezzare il numero dei parlamentari” perchè “un Parlamento più snello costa meno, garantisce una migliore qualità della classe politica e celerità nella produzione legislativa, senza limitare l’esercizio della democrazia“.
Ma Monti assicura che tra la posizione odierna e quella sbandierata sette anni fa non c’è alcuna contraddizione. “Rispetto ad allora sono cambiate due cose”. La prima sarebbe il potere dei partiti sulla composizione delle liste e dunque sugli eletti: “Una vittoria del Sì comporterebbe, in mancanza di una nuova legge elettorale – che resta ipotetica – non un alleviamento ma anzi verosimilmente un aggravarsi del fenomeno del ‘capo-padrone’, a scapito della effettiva rappresentanza dei cittadini“.
In secondo luogo – prosegue Monti – una riforma nel 2013 non avrebbe significato cedere al populismo, significato che la vittoria del Sì, oggi avrebbe, secondo il senatore a vita. Un fenomeno, quello del populismo che “ha fatto strame proprio del principio della rappresentanza popolare” a vantaggio della piattaforma Rousseau che Monti considera alla stregua di un “gioco di società”.
Neanche l’argomento che ruota intorno ai “minori costi” sembra convincere l’ex premier. “Il modesto risparmio per il bilancio dello stato sarebbe un beneficio ben inferiore al costo di un passo ulteriore nella deriva dell’Italia verso l’approssimazione e l’illusionismo populistico dei gesti identitari e delle bandierine, che nulla hanno a che fare con la serietà dei problemi gravi che l’Italia deve affrontare“.
Convinzione, quella per il No al taglio, che il senatore non ha mancato di sottolineare palando con La7: “Il taglio dei parlamentari senza una riforma della legge elettorale e dei regolamenti è un taglio “a stralcio” di pura demagogia“.
Fonte: Foglio, La7