Cesare Paladino, proprietario dell’albergo di lusso Plaza di Roma, aveva patteggiato nel 2019 e dopo l’approvazione del decreto Rilancio dello scorso marzo, i suoi legali hanno fatto ricorso allegando che il reato di peculato per chi non versava il contributo di soggiorno al Comune era stato depenalizzato. Ma l’interpretazione della Procura sembra andare in tutt’altra direzione.
Rischia di nuovo la condanna per peculato di Cesare Paladino, il padre Oliva, compagna del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nonché proprietario dell’Hotel di lusso Plaza di Roma. L’anno scorso, Paladino aveva patteggiato un anno e due mesi, con la sospensione della pena, per aver omesso di versare al Comune di Roma più di due milioni di euro in tasse di soggiorno per gli anni dal 2014 al 2018, informa Il Fatto Quotidiano. Ma tra le tante misure approvate dal decreto Rilancio del 19 maggio, convertito in legge il 17 luglio scorso, una in particolare ha stabilito che gli albergatori che non versavano ai Comuni le tasse di soggiorno non potevano essere accusati di peculato. La misura interessava in prima persona Paladino. E in effetti, con l’approvazione della misura contenuta nel decreto – che molti additarono come misura ad personam per aver favorito il suocero del premier – gli avvocati dell’albergatore avevano potuto chiedere la revoca della sentenza di patteggiamento del 2019. Per i legali, infatti, la misura contenuta nel decreto – che depenalizzava di fatto la condotta e la trasformava in semplice illecito amministrativo – si applicava anche retroattivamente. L’obiettivo del ricorso chiesto dagli avvocati di Paladino era quello di “pulire” la sua fedina penale.
Invece sembra che non ci sia nulla da fare per Paladino, almeno stando a quanto ha stabilito la procura di Roma, per la quale la norma non norma non è retroattiva. A riportarlo Repubblica. I magistrati, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, hanno elaborato un parere fornendo la loro interpretazione della nuova normativa. Secondo i giudici, la legge depenalizza sì la condotta, ma non il reato. Vale a dire, che la depenalizzazione non è da applicarsi per i fatti commessi prima dell’approvazione del decreto, ovvero il 19 maggio. La nuova legge, scrivono i magistrati, cambia la posizione dell’albergatore – che si converte da “esattore” a “obbligato in solido con il cliente”. Il contributo di soggiorno diventa così un’imposta normale, che deve essere versata l’anno successivo.
La depenalizzazione non viene quindi messa in discussione dal team, perché “la condotta del gestore che non versa l’imposta non può più costituire peculato“, ma allo stesso tempo, non ha efficacia retroattiva. In poche parole, chi ha commesso peculato prima del 19 maggio, dovrà continuare il processo. Chi è già stato condannato, non potrà liberarsi dalla condanna. E nel caso abbia subito un sequestro, non potrà riavere il patrimonio. Il parere del pubblico ministero è fermamente negativo su questo punto. Ora l’interpretazione passerà al vaglio dei giudici, che però sembrano affiancare la tesi dei procuratori. Infatti un Giudice per le Indagini Preliminari si è già espresso sposando la tesi della procura e condannando un albergatore inadempiente.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, La Repubblica