La Camera dei Deputati sperava di conoscere i nomi degli ultimi due parlamentari che hanno chiesto il bonus da 600 euro per le partite Iva, messo in campo dal Governo durante l’emergenza Covid. Ma l’Inps mantiene il segreto: questione di privacy. E il Garante avvia un’istruttoria nei confronti dell’Istituto
Dei “furbetti del bonus” se ne è parlato quotidianamente fino a qualche settimana fa, ma a meno di colpi di scena, si chiude con un nulla di fatto il tentativo della Camera dei deputati di conoscere l’identità degli ultimi due parlamentari che hanno chiesto – senza ottenerlo – il bonus da 600 euro per le partite Iva, beneficio messo in campo dal Governo durante l’emergenza Covid. A riportarlo l’Huffington Post. Dei tre beneficiari, che hanno intascato 1.200 euro a testa, si hanno tutte le informazioni. Si tratta dei due leghisti Andrea Dara ed Elena Murelli, e del pentastellato Marco Rizzone. I tre si erano già autodenunciati a fine luglio, forse perché sapevano che prima o poi i loro nomi sarebbero venuti fuori. E infatti nella lettera che la segreteria di presidenza dell’Istituto ha inviato alla Camera, si conferma l’identità dei tre deputati, e anche la somma percepita. L’importo di 1.200 euro a ciascuno si spiega perché i parlamentati si sono presi la briga di chiedere – e ottenere – il beneficio per ben due volte. Erano nel loro diritto, in fin dei conti. Semmai il problema è di ordine etico, nonché di una legge piena di buchi.
L’Inps ha inoltre assicurato nella sua comunicazione che non ci sono altri componenti della Camera o del Senato ad aver beneficiato del sussidio. E ha anche chiarito perché non si possono conoscere i nomi dei due deputati che hanno richiesto il beneficio senza ottenerlo. Infatti, alcune fonti spiegano che manca la base giuridica per autorizzare la pubblicazione di dati relativi a chi è risultato solo richiedente e non beneficiario: “La norma sugli accessi generalizzati, quella che permette di accedere a informazioni e documenti in possesso della pubblica amministrazione, riguarda solamente coloro che ricoprono cariche pubbliche e che ricevono soldi pubblici”. Non per caso quindi il Garante per la privacy, che aveva sollecitato l’Inps a pubblicare i nomi, ha sempre fatto riferimento ai “beneficiari” del bonus, e non ai suoi “richiedenti”. Così si legge nelle due comunicazioni inviate all’Istituto rispettivamente l′11 e il 17 agosto, dove si parla di “chiarimenti sulla pubblicazione e comunicazione dei dati dei beneficiari del bonus 600 euro che ricoprono cariche elettive pubbliche”.
Nel frattempo, il Garante per la privacy ha avviato una istruttoria nei confronti dell’Istituto di Previdenza, chiedendo conto sulla metodologia adottata in riferimento ai dati dei beneficiari del bonus. L’istruttoria è ancora in corso e l’Inps informa di aver sospeso le attività di trattamento dei dati in questione. Si dovrà quindi attendere l’esito dell’istruttoria del Garante. Intanto il presidente della commissione Lavoro della Camera, la dem Debora Serracchiani, che si sta occupando del caso, chiede al Garante di andare in Parlamento per spiegare perché quei due nomi non si possono conoscere. Sui nomi si erano già avanzate alcune ipotesi, ma nessuna conferma è arrivata dai partiti interessati. Quando è scoppiato lo scandalo all’inizio di agosto, si parlava di 3 leghisti, uno di Italia viva e uno del Movimento 5 Stelle. E Alessia Morani, sottosegretaria allo Sviluppo economico riportata da Il Sole 24 Ore tuonava contro i parlamentari: “Cosa aspettano a dimettersi? L’istituzione in cui siedono merita rispetto: è il tempio della democrazia. Se ne vadano immediatamente!” aveva scritto il sottosegretario sul suo account Twitter. Ma forse nemmeno uno dei cinque accusati penserà davvero di lasciare la poltrona.
Fonte: Huffignton Post, il Sole 24 Ore