Quindici giorni all’apertura delle scuole e migliaia di docenti potrebbero non presentarsi

Insegnanti fragili: a pochi giorni dalla riapertura delle scuole, gli istituti rischiano di non avere personale sufficiente. A rischio l’anno scolastico, denuncia la Cisl. E sui test sierologici è caos.

Mancano pochi giorni alla riapertura delle scuole, ma le incognite legate al rientro, invece di attenuarsi, sembrano raddoppiare. L’ultima polemica, quella dei docenti: la maggior parte precari, quasi la metà “fragili”. Si rischia così, dice il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, che i docenti spendano più tempo a far rispettare le regole che a fare lezione. Un arduo compito, per lo più irrealizzabile. Infatti nessuno meglio degli insegnanti – riferisce La Stampa – sa che obbligare i ragazzi a indossare la mascherina durante le lezioni sarà impossibile e che gli assembramenti saranno all’ordine del giorno. E che i focolai nelle scuole non saranno una probabilità, ma una certezza. E così è cominciata in Veneto la rivolta degli insegnanti, con centinaia di docenti che hanno già chiesto di non tornare in cattedra perchè “lavoratori fragili”, quindi più esposti al contagio da Covid: sono gli over 55, magari con problemi respiratori, malattie croniche, o sottoposti attualmente a trattamenti quali la chemioterapia.

Promettono di lasciare vuote le cattedre e trovano nel presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, una solidarietà di circostanza, ma non di fatto. Zaia coglie nella crisi imminente una occasione per punzecchiare il Governo sulla questione dell’autonomia veneta. “Sono anche io convinto che chi ha problemi di salute debba evitare ogni tipo di assembramento ma questo non rientra nelle nostre competenze, almeno finché non avremo l’autonomia”, spiega laconico. Che il Governo al problema degli insegnanti “fragili” non ci abbia pensato prima sembra rivelare un atteggiamento di chi era troppo occupato a spegnere altri incendi, ma il problema è più che conosciuto, e non da ieri. Lo scorso aprile l’Inail ha pubblicato un documento in cui inseriva nella categoria dei soggetti “fragili” tutte le lavoratrici e i lavoratori sopra i 55 anni, per i quali è stata prevista una “sorveglianza sanitaria eccezionale”. Categoria protetta, in poche parole, assicurata dal datore di lavoro, e con la possibilità di essere considerati temporaneamente inidonei al servizio, e di venir quindi sostituiti.

I numeri che spaventano

Ma i numeri spaventano: parliamo del 40% del corpo docente presente sul territorio nazionale, ovvero di circa 400 mila persone sopra i 55 anni, di cui 170 mila con più di 62 anni. Forse per questo, sapendo che sarebbe impossibile sostituire centinaia di migliaia di docenti, le linee guida elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità sulla ripresa della scuola hanno risolto il problema semplicemente non affrontandolo. Infatti della gestione dei “lavoratori fragili” non c’è traccia nel documento recentemente presentato. E su questa situazione la segretaria della Cisl Scuola Maddalena Gissi non demorde. “Abbiamo chiesto più volte che venga chiarita perché lascia senza tutele questi insegnanti e apre ulteriori incognite sulla ripartenza delle lezioni”. Incognite che implicherebbero vecchie soluzioni per vecchi problemi: si cercherà un supplente, un precario, che magari è più anziano del collega che va a sostituire, perché “questa è la realtà”, prosegue Gissi, che chiede un intervento normativo per definire la gestione di questi insegnanti, e allerta per i “buchi di organico” se verrebbero a crearsi se gli insegnanti “fragili” mancano all’appello. Buchi che molto spesso non dipendono dai soldi, che “magari arriveranno”, ma dalla mancanza di disponibilità delle figure necessarie. Non ci sono abbastanza candidati docenti, insomma, soprattutto quelli per le materie scientifiche. Di questo passo, avverte Gissi, non si andrà oltre il 30% delle assunzioni previste, e toccherà ai precari, ancora una volta, tenere in piedi l’anno scolastico.

Test sierologici, un altro problema

L’altra bomba a orologeria è quella dei test sierologici sul personale scolastico. Bomba che è appena scoppiata, ma era questione di tempo. Dai primi dati riportati dal Corriere della Sera, risulta che un terzo degli insegnanti è reticente a fare il test. Un numero di docenti disposti a sottoporsi al test molto più basso rispetto alle aspettative. Ma spiegabile da diversi fattori. Il primo, perchè il governo non ha stabilito l’obbligatorietà nella effettuazione dei test. Con il senno di poi, questa strategia sembra si sia rivelata fallimentare. Perplesso infatti il presidente dei presidi del Lazio, Mario Rusconi, che denuncia il “clamoroso errore”, e sottolinea: “Bisognava fare test obbligatori, anche agli studenti del triennio delle superiori: è stato un clamoroso errore renderli facoltativi. Bastava un provvedimento del governo, come ne sono stati fatti molti altri in questi mesi”. E a prima vista, stando alle parole del vicesegretario della Federazione dei medici di famiglia Domenico Crisarà, Rusconi non ha tutti i torti. Sulla scelta di realizzare il test sierologico, la Federazione ha riscontrato finora una adesione molto minore rispetto al previsto. “C’è un terzo degli insegnanti che si sottrae. Sono perplesso, stiamo parlando di un’emergenza sanitaria e l’adesione non dovrebbe essere messa in discussione”.

Ma le responsabilità non possono essere addossate tutte al personale scolastico. Infatti la regolamentazione per la effettuazione dei testi è di competenza regionale. Così, ogni Regione ha deciso secondo criteri propri, aumentando la confusione. Mentre in alcune regioni la somministrazione del test è stata affidata ai medici di famiglia, in altre invece è stata affidata alle Asl. E così molti tra professionali della salute e insegnanti non sanno che fare. Alcuni medici si rifiutano di effettuare il test e suggeriscono di contattare l’Asl. Cosa che, secondo Crisarà, non va affatto bene. “Fare il test agli insegnanti è un dovere professionale in questo momento”. Un altro problema relazionato ai test sierologici è che i kit stanno arrivando in ritardo. Anche se l’ufficio del Commissario straordinario per l’emergenza Covd-19, Domenico Arcuri, li ha consegnati alle Regioni il 10 agosto, non sono arrivati in tutti gli studi medici o alle Asl per tempo. Dal Ministero della Salute fanno sapere che va tutto bene, che sono stati effettuati migliaia di test e che “la macchina sta andando a regime”. Ma per sapere se questa “macchina” arriverà a destinazione nei tempi necessari, bisognerà attendere alcune settimane. Per ora, verrebbe da pensare che no.

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Fonte: La Stampa, Corriere della Sera

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