Gli italiani non nascono, l’economia va a picco. Ma Graziano Delrio pensa allo Ius Culturae

Il lockdown ha bloccato i progetti ma oggi, in piena emergenza sbarchi e Covid, il PD è tornato a fare pressing sull’approvazione dello Ius culturae, erede dello Ius Soli.

E’ il nuovo obiettivo del Partito Democratico: lo “Ius culturae”, erede dello Ius Soli caro alla parte di sinistra più ferrata. La proposta ha come principale firmataria Laura Boldrini e con essa, informa Il Giornale – il diritto alla cittadinanza si acquisirebbe non solo per il requisito di essere nati in Italia ma anche per altri elementi di carattere culturale. La cittadinanza italiana può essere ad esempio riconosciuta a chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno è regolarmente soggiornante in Italia da “almeno un anno al momento della nascita del figlio”. Ma anche a “chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è nato in Italia”. Ma ancora, la cittadinanza potrebbe essere attribuita ad un minore nato da genitori stranieri che ha completato almeno un ciclo di studi nel nostro paese.

Dopo il blocco dei progetti, causa lockdown, oggi il PD torna alla carica. “I riformisti sono radicali nei principi, ma sanno seminare e aspettare il tempo buono del raccolto”, dice Graziano Del Rio in un’intervista a La Stampa. Un esempio, l’assegno unico per le famiglie. “Io ho seminato per quattro anni prima di ottenerne l’approvazione”, dice il dem. E così ha intenzione di fare sullo ius culturae. “Non mollo. Ogni volta che abbiamo concesso più diritti a qualcuno siamo diventati più forti tutti. I cambiamenti avvengono con costanza e determinazione”, prosegue il dem sicuro che arriverà questo risultato. Non la pensa così Maria Stella Gelmini, sua omologa di Forza Italia che ricorda che entrambe le misure – Ius soli e ius culturae – non sono la priorità per un Paese alle prese con la gravissima crisi economica scatenata dal Coronavirus. Inoltre, anche solo riaprire un dibattito al riguardo darebbe vantaggio all’immigrazione incontrollata scatenando un ulteriore “liberi tutti che causerebbe nuovi flussi verso il nostro Paese”, dice Gelmini.

Non a caso, l’occasione per riaccendere la questione sono stati i decreti sicurezza di Matteo Salvini, decreti da modificare ma che, sulla carta, sono ancora lì e ci resteranno, probabilmente, almeno fino a fine settembre in occasione delle consultazioni regionali e comunali. Alle parole di Delrio sullo Ius culturale è emerso il centrodestra cercando di fare il punto della situazione: Italia al collasso, aziende e italiani in ginocchio, sbarchi continui. Una situazione che la leader di Fratelli d’Italia ha definito, nel suo intervento al Senato, “furia immigrazionista e anti-italiana”, ha scritto Giorgia Meloni sul proprio profilo twitter.

A complicare la situazione, il rapporto drammatico tra calo delle nascite e perdita del Pil. Secondi i dati Istat di fine 2019 riportati da Repubblica, gli italiani fra i 30 e i 39 anni, compresi gli stranieri regolarizzati, sono 7 milioni; quelli fra i 40 e i 49, invece, 9 milioni. “Significa che fra dieci anni nella fascia a più alta intensità produttiva della vita lavorativa, quella dei quarantenni, ci saranno due milioni in meno dei quarantenni odierni, oltre un quinto dei potenziali lavoratori, con una perdita di Pil pesantissima”, dice il demografo Alessandro Rosina. Il decremento demografico avrà cioè un impatto drammatico sull’occupazione e la produzione e la denatalità diviene una variabile determinante dello sviluppo e della crescita. Chiaramente, in negativo: per fare un esempio, un’azienda ricava più valore aggiunto dall’assumere un giovane ingegnere rampante che un cinquantenne demotivato.

Eppure, secondo l’Organizzazione del commercio e dello sviluppo economico, l’investimento in capitale umano è troppo scarso. Cioè, non si investe più nei giovani e la spirale del decremento si rafforza in un rapporto di causa ed effetto. Chi invece decide di far figli, è portato a fare meno vacanze, più straordinari, a impegnarsi di più per dare un futuro migliore appunto ai figli. Insomma a produne di più e meglio. Guardando all’esperienza di altri Paesi – spiega Brunello Rosa, docente alla London School of Economics – come Svezia, Francia, Germania, Gran Bretagna si nota che sono stati stanziati sussidi, agevolazioni, infrastrutture, tali da mettere le giovani madri in condizione di fare figli e tornare al lavoro. Ma l’Italia vive la più grave recessione da 90 anni a questa parte e la situazione è oggi rafforzata dal “fattore incertezza”.

Le conseguenze del Covid

Il Coronavirus, dal canto suo, non ha migliorato la situazione. Un report dell’Istituto Toniolo ha rivelato che «se prima della pandemia il 26% dei giovani pensava di fare un figlio, un terzo di essi ci ha ripensato: troppe le paure e la sensazione di essere abbandonati dallo Stato». Si prevedono 10mila nascite in meno, di cui 4mila nel 2020, solo a causa del clima di incertezza e paura. “Qualcosa di simile all’effetto Chernobyl”, spiega Gian Carlo Blangiardo, demografo della Bicocca, oggi presidente dell’Istat. Aggiungendo i condizionamenti economici, potremmo arrivare a 20-30mila in meno. In cinque anni la popolazione è diminuita di 551mila residenti, calo dovuto ai cittadini italiani: ne sono nati l’anno scorso 357mila rispetto ai 627mila deceduti, con un saldo negativo di 270mila. Si sono aggiunti a questi 292mila stranieri, che comunque non colmano il gap. “Una volta insediati in Italia, rilevate le carenze di welfare si adeguano e anche loro fanno meno figli”, dice Veronica De Romanis, economista della Luiss –

Se tutte queste tendenze proseguiranno, secondo gli esperti, nel 2050 l’Italia si ritroverà con un Pil inferiore per il 20% all’attuale, e il 40% nel Mezzogiorno. Il Sud perderà 5 milioni di abitanti e sarà ridotto a un’espressione geografica, a meno che non si intervenga in modo deciso: il Family Act rafforza i sussidi, con assegni familiari, bonus bebè, bonus libri scolastici e via dicendo, creando l’assegno universale unico di 200-250 euro al mese per figlio secondo il reddito. Andrebbe però, concordano gli economisti, stipulato un patto fra le generazioni, inserendo in Costituzione il principio dell’equità intergenerazionale. Imprese e Stato dovrebbero impegnare a fare un investimento massiccio sui giovani. Ma le priorità sembrano essere altre.

Fonte: La Stampa, Il Giornale, Repubblica

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