Una crisi più grande di quella che costrinse Amato al prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. E tante tassazioni – comunali, regionali e statali – che potrebbero dare il colpo finale ad una ripresa che non decolla.
Con la trattativa europea in stallo – con un Recovery Fund bloccato e che probabilmente andrà rivisto al ribasso – e un piano anticrisi e di rilancio che fatica a decollare, il Governo del Premier Giuseppe Conte cerca soluzione – quantomeno – per appianare i debiti da decine di miliardi di euro in deficit per il rientro delle spese dovute alla pandemia da Covid. Una soluzione che non potrà concentrarsi gioco-forza sull’aumento del debito pubblico, che stando agli attuali calcoli schizzerà al 160% del rapporto con il Pil. Ed è per questo motivo che, nei corridoi di Palazzo Chigi, iniziano a serpeggiare ipotesi decisamente sempre più radicali che possano immettere nelle casse dello Stato una liquidità sufficiente nel prossimo biennio. E questa liquidità ha un solo nome: ovvero tassazione sui beni (anche immobili, come vedremo). Nonostante il secondo debito pubblico più grande d’Europa, gli italiani sono tra i primi in termini di ricchezza accumulata e risparmiata nel mondo.
Come spiega Il Giornale, parliamo di depositi bancari e conti correnti, e di una cifra vicina ai 1.500 miliardi di euro. C’è un precedente che gli italiani non dimenticheranno mai. Era il 1992 e l’allora Governo guidato da Giuliano Amato, nel pieno della tempesta della svalutazione della lira, su proposta dell’allora Ministro delle Finanze Giovanni Goria, varò un Decreto d’urgenza – pubblicato nella mezzanotte del 10 luglio – per il prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani del 6 per mille. Una situazione non certo dissimile ad oggi – specie sul livello occupazionale – che consentì si, all’allora Governo, di chiudere la manovra correttiva da 30mila miliardi di lire, ma ad un costo elevatissimo sui risparmi di una vita degli italiani. Un episodio che cambiò radicalmente il rapporto, in Italia, tra Stato e cittadino. Al Dicastero delle Finanze guidato da Roberto Gualtieri si ragiona: il tesoretto c’è e, se tassato al 10 per mille, potrebbe fruttare 15 miliardi di euro.
Si stima che – nei mesi di lockdown – gli italiani abbiano risparmiato 20 miliardi di euro. La strada da seguire, se la crisi dovesse – e cosi pare – mostrarsi più feroce delle precedenti, sarebbe proprio questa, avallata anche dal sempre ascoltato in casa Dem, Romano Prodi. E potrebbe essere accompagnata da una patrimoniale – mai accantonata in Via del Nazareno – che l’ex Ministro e capogruppo alla Camera Graziano Delrio ha denominato “supertassa solidale”, da applicare ai redditi superiori agli 80mila euro nel biennio 2020-2021. Sono provvedimenti che, uniti ad una maggiorazione delle piccole tassazioni facenti capo ai Comuni, potrebbero portare nelle casse dello Stato circa 30 miliardi di euro. Per intenderci, i prestiti del Mes varrebbero 37 miliardi. Ci sono delle addizionali inoltre di cui tenere conto: le imposte sulle successioni e donazioni, la Tari, le comunali e regionali, l’imposta di soggiorno e quelle collegate alle attività commerciali, come l’occupazione del suolo pubblico.
Senza dimenticare i monopoli come tabacco e lotterie. Insomma tutto quello che può essere tassato, può rientrare – in fase di crisi – nella lista delle cose da tassare. Come aveva già annunciato, allarmato, il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: “Non ci saranno problemi di liquidità sino a maggio”. I Sindaci italiani sono stati molto più – drammaticamente – realisti. Come spiega Repubblica, i Comuni italiani rischiano il dissesto. Il Sindaco Dem di Firenze, Dario Nardella, ha detto chiaramente che sono a rischio i servizi essenziali, come la corrente elettrica pubblica o la raccolta rifiuti. Pesano, sulle grandi città, le mancate tasse di soggiorno per il crollo del turismo (che fruttano 450 milioni di euro l’anno). Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica guidato da Carlo Cottarelli, l’imposta sulle successioni – ormai sdoganata in Europa – potrebbe essere presa in considerazione dallo Stato italiano, senza contare la sempre verde imposta dell’Imu sulla prima casa, che varrebbe 11 miliardi di euro. C’è un aspetto di cui tenere conto: se ci basiamo sull’attuale proposta Recovery della Commissione, dei 90 miliardi previsti tra prestiti e finanziamenti, che andranno restituiti con interessi sino al 2058, figura anche un prelievo fiscale di 25-30 miliardi di euro a carico dei bilanci delle grandi aziende. Con 26 miliardi in meno di entrate a causa lockdown, il Mef e Palazzo Chigi studiano la via d’uscita prima dalla crisi, poi da debiti. La stangata per gli italiani è dietro l’angolo.
Fonte: Il Giornale, Repubblica
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