Il Direttore del Mario Negri ha parlato di recenti studi, effettuati in diversi Paesi, sui nuovi campioni. I nuovi contagiati hanno una carica virale bassa e di ,questo sia l’Iss che il Governo, devono parlarne.
Il Professore Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” IRCCS, in un’intervista rilasciata a Il Corriere della Sera, ha parlato degli ultimi studi effettuati sui pazienti affetti da Coronavirus. Sulla scia delle dichiarazioni del Professor Alberto Zangrillo, Direttore del Reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale San Raffaele di Milano, e del Professor Matteo Bassetti, Direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, che hanno ipotizzato una diminuzione della potenza e della carica virale del virus, Remuzzi ha confermato che i test effettuati in queste settimane ci forniscono l’immagine di un virus non potente come ad inizio pandemia. Non ci sono ancora studi che certifichino un ipotetico cambiamento, e sono diversi i fattori che potrebbero incidere: da una diversa risposta del nostro organismo alle condizioni ambientali, passando per cure che riescono ormai ad ottenere risultati molto soddisfacenti in gran parte dei casi.
Secondo lo studio effettuato dall’Istituto “Mario Negri”, che ha sottoposto a tampone 133 ricercatori della sua stessa struttura – che si trova a Brescia, città tra le più colpite d’Europa – e 298 dipendenti della Brembo, i soggetti risultati positivi – una quarantina – avevano tutti una carica virale molto bassa. Per la ricerca del virus, come sappiamo, si utilizzano dei tamponi, sottoposti poi alla reazione dei reagenti in laboratorio. Tale tecnica, definita reazione a catena della polimerasi (Prc) amplifica alcuni specifici frammenti di Dna in un dato campione. Il genoma del Coronavirus, ovvero l’Rna, viene trascritto a Dna e amplificato tramite la tecnica del Prc. Bene: se il contenuto del tampone è basso, dovrà essere amplificato notevolmente. E viceversa. I tamponi dei test del “Negri” avevano tutti un contenuto così basso da rendere necessario un amplificazione da 34 a 38 cicli per essere individuato. E di conseguenza, spiega Remuzzi: “Sono casi di positività con una carica virale molto bassa, non contagiosa. Li chiamiamo contagi, ma sono persone positive al tampone”. E ancora: “Sotto le centomila copie di Rna non c’è sostanziale rischio di contagio, secondo un lavoro appena pubblicato da Nature e confermato da diversi altri studi”.
Come aggiunge HuffingtonPost, il Professore ha spiegato che si dovrebbe tenere conto di tali studi, evitando in tal modo, ad esempio, misure di quarantena non necessarie o panico infondato nella popolazione. Per la Lombardia il discorso è differente: nella Regione, dove il virus ha avuto i suoi effetti più devastanti, la carica virale resta più alta della media, ma ad ogni modo nulla che giustifichi una qualche chiusura prolungata, assicura Remuzzi. Conclude il Professore: “L’ISS e il Governo devono rendersi conto di quanto e come è cambiata la situazione. E devono comunicare di conseguenza. Altrimenti, si contribuisce a diffondere paura ingiustificata”. I tamponi effettuati in questi giorni, secondo Remuzzi, creano una falsa realtà: quelle persone sono positive, ma non possono infettare altre persone. Ciò lo si dedurrebbe anche dalla difficoltà del virus di infettare nuove cellule, fatto che permetterebbe ai nuovi positivi di affrontare la malattia con pochi sintomi o addirittura nulli. Vi è bisogno dunque di rivedere l’azione dei tamponi, o quantomeno di tradurre quei dati secondo la nuova letteratura scientifica. Anche il Center for Disease Prevention della Corea del Sud ha effettuato studi sul caso: di 285 persone asintomatiche positive sono state rintracciate 790 loro contatti diretti. Ma, partendo da questi, sono stati segnalati zero nuovi positivi.
Mario Cassese
Fonte: HuffingtonPost, Il Corriere della Sera