Il Ministro degli Esteri prova a riprendersi il Movimento finito nella faida tra Grillo e Di Battista. E promette che il Governo Conte andrà avanti.
Lo scontro tra l’ex Deputato Alessandro Di Battista e il fondatore, e garante, del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, anima una crisi senza precedenti nelle file grilline. Pochi giorni fa, Di Battista, ha chiesto la convocazione di un Congresso che possa eleggere il successore del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha guidato il Movimento per oltre 3 anni, sino alle dimissioni da capo politico lo scorso 22 gennaio. E Di Battista – spalleggiato da Davide Casaleggio, Presidente della fondazione Rousseau – non è la solo problema del reggente Vito Crimi. La battaglia per la poltrona più alta del M5S viene da lontano, dalla scelta di formare un Governo con lo storico nemico Dem e il malcontento per una linea troppo europeista a Bruxelles. C’è in ballo l’essenza, e l’esistenza, stessa della creatura di Grillo. La reazione dei piani alti del Movimento all’assalto dell’ex figliol prodigo romano è quella dei vecchi tempi: tutti arroccati a difendere il fortino, nessuna possibilità di un confronto. Sarebbe troppo rischioso per il Governo del Premier Giuseppe Conte.
Nella giornata di ieri, Di Maio, ospite del programma “L’Aria che tira”, su La7, aveva già chiuso la porta alla proposta di Di Battista lasciando intendere che, no, non sarà possibile nominare un successore in un Congresso stile vecchio partito. Anzi non ci sarà nessun successore. Verrà eletto l’ennesimo gruppo reggente che avrà il compito di tenere a bada i parlamentari più indisciplinati. In un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, il politico pomiglianese sembra volersi riprendere la scena, offuscata in questi giorni dai due grandi ritorni. Spiega Di Maio: “Se ora nominassimo un capo servirebbe solo a traghettare il M5S e potrebbe deresponsabilizzare molti, spingendoli a sollevare problemi”. Molto meglio gli Stati Generali, che si occuperanno della struttura territoriale, e non certo della linea politica. E non cambierà poi molto data la grande influenza esercitata dallo stesso Di Maio che, da responsabile enti locali, ha gestito per anni le candidature sul territorio e per lo stesso Grillo, possessore del simbolo e garante.
E se l’ex capo politico parla del rischio di: “Accordo tra correnti basato sulla spartizione dei posti”, parlando di un ipotetico Congresso, ecco che viene a galla il timore di perdere tutto quello che – all’interno del M5S – si è costruito. Di Maio non teme che il lavoro del Governo – che vorrebbe (e non si sa come) dividere totalmente dalla struttura del gruppo – possa influenzare altre ribellioni in futuro. Cita il Reddito di Cittadinanza, il Decreto Dignità e Legge Spazzacorrotti, a riprova del grande lavoro svolto dal M5S su questo piano. Provvedimenti portati a casa in due diversi Governi in tre anni e tutti sotto la sua guida. Sarà un caso. E annuncia: “Il Movimento può governare l’Italia per i prossimi 20 anni”. Eppure i numeri remano contro: il crollo nei sondaggi è consistente e se il Premier Conte dovesse decidere di correre da solo alle prossime elezioni, il M5S potrebbe addirittura perdere il ruolo di ago della bilancia creatosi nel panorama politico italiano.
Ma sono tanti i problemi con gli alleati di Governo. Il primo nodo da sciogliere sarà il Mes – su cui è arrivato l’intervento anche di Grillo – e poi le già annunciate modifiche ai Decreti Sicurezza varati proprio dal M5S con la Lega nello scorso Esecutivo. Il leitmotiv è sempre lo stesso: trovare un punto di incontro. Che finisce, inevitabilmente, per favorire la parte più forte del tavolo, quella del Partito Democratico: “Sappiamo che i Decreti sono una sensibilità del Pd: sono certo che troveremo un punto di caduta”. Ma si potrà utilizzare la stessa passività anche in Europa, laddove i dissensi sono molto più ampi ed evidenti? Per Di Maio il Mes: “Rimane inadeguato, dobbiamo concentrarci sul Recovery Fund”, e nega il tentativo di rinviare a settembre la discussione, evitando implosioni in piena estate. La sensazione è che su questo tema difficilmente la mediazione possa giungere ad una conclusione soddisfacente per tutti. Il PD spinge per l’attuazione, in tempi brevi, spalleggiato da Italia Viva e da Leu. Se il M5S dovesse cedere, Di Battista diventerà qualcosa di molto più grande di un semplice problema di ordine interno, ma una mina vagante che potrebbe sentirsi legittimato (e spalleggiato) a riportare il Movimento agli anni pre-palazzo.
Mario Cassese
Fonte: La7, Il Fatto Quotidiano
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