La guerra in Libia costituisce ormai per l’Europa il più pericoloso fronte aperto nel Mediterraneo. L’offensiva tra il Generale Khalifa Haftar da una parte, e Fayez al-Sarraj dall’altra, aumenta il rischio che mercenari e combattenti siriani, tra cui fondamentalisti religiosi, potrebbero riversarsi in Europa.
La guerra in Libia è una minaccia per tutto il Mediterraneo. Il conflitto, apertosi ormai molto tempo fa, vede sul campo da una parte il Generale Khalifa Haftar e dall’altra Fayez al-Sarraj,
Presidente del Consiglio presidenziale della Libia. Il primo, nel tentativo di conquistare Tripoli, è stato sconfitto. L’esercito di Haftar, informa La Stampa, la cui base si trova nella zona orientale della Libia, era arrivato alle porte della Capitale, ma di recente ha perso buona parte del terreno guadagnato, rischiando di perdere anche l’importantissima città di Sirte. L’avanzata di Haftar è stata possibile grazie al sostegno degli Emirati Arabi Uniti e della Russia, mentre il governo di Tripoli ha potuto contrattaccare sfruttando l’aiuto decisivo della Turchia e del Qatar. Appare evidente, alla luce dei fatti, che ciò che accade in Libia abbia ormai assunto una dimensione internazionale che riguarda diversi Paesi coinvolti, pur non direttamente.
Al centro, ora, c’è la Turchia. Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha investito molto nella causa, appoggiando il Governo di Tripoli. In caso di successo, ne guadagnerebbe non solo in termini di influenza in Libia ma anche riguardo le riserve di idrocarburi nel Mediterraneo orientale. Ma non è tutto, perché sul cammino di Ankara si frappone anche la Francia, sponsor di Haftar e alleata degli Emirati Arabi Uniti. Da Parigi arriva una lunga lista di critiche nei confronti del presidente turco, accusato di esercitare una “pressione strategica” nei confronti dell’Europa attraverso il proprio intervento in Libia. Grazie al sostegno militare turco, il Governo di Tripoli avanza da settimane contro l’Esercito di Haftar. Il capovolgimento del fronte ha permesso ai combattenti fedeli al Governo di Serraj e alle milizie filo-turche di mirare alla città di Sirte e alla base aerea di al-Jufrah, tuttora sotto attacco e difese dalle forze di Haftar. Proprio Sirte, ricorda Il Corriere, è la città più vicina ai principali terminal di esportazione petroliferi della Libia. Di conseguenza, il golfo potrebbe esportare migliaia di barili di petrolio e decine di milioni di piedi cubi di gas.
I rischi per l’Italia
Il rivolgimento della situazione a favore del Premier Fayez al-Serraj aumenta il rischio di ritrovarci in casa ex mercenari e combattenti siriani, tra cui anche fondamentalisti religiosi. Le Nazioni Unite hanno annunciato una serie di nuovi colloqui per spingere i Paesi alleati a cessar l’offensiva, ma in ballo ci sono troppi interessi e né Ankara da un lato, né Mosca dall’altro, hanno intenzione di fermarsi adesso. Inutile, quindi, la proposta di mediazione avanzata dall’Egitto, che ha incontrato il secco rifiuto di Tripoli, informa Il Sole 24 ore. In ogni caso, la guerra va avanti grazie ai mercenari, provenienti soprattutto dalla Siria. Secondo una recente inchiesta del quotidiano britannico The Independent, in Libia potrebbero combattere attualmente fino a 8mila miliziani siriani. Inoltre, più di 1.200 combattenti russi o provenienti dall’Asia centrale russofona sarebbero coinvolti nella guerra in corso nel Paese africano al fianco del maresciallo Haftar; 2mila mercenari sarebbero invece i siriani reclutati nelle zone controllate da Damasco, mentre altri 2mila verrebbero dal Sudan.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha documentato l’invio in Libia di oltre 13mila miliziani filo-turchi partiti dalla Siria, compresi almeno 150 minori. Ancora secondo l’Onu, fino a 3mila miliziani siriani reclutati da Ankara sarebbero attualmente impiegati sul campo in Libia. I combattenti costituiscono un fattore di instabilità nel conflitto libico. La propria fedeltà è limitata a una paga settimanale. I miliziani siriani inviati da Ankara a Tripoli sarebbero pagati fino a 2.000 dollari al mese per un ingaggio di quattro mesi. I mercenari siriani reclutati al fianco di Haftar da varie compagnie militari private come la russa Wagner Group sarebbero invece pagati oltre 1.000 dollari al mese. La maggioranza di questi combattenti è spesso reclutata tra le fasce più povere e fragili del Paese arabo. Il tracollo economico del Paese ha spinto migliaia di giovani a scegliere di andare a combattere all’estero.
“Il mio unico pensiero era che in Libia avrei potuto fare un po’ di soldi e poi attraversare il mare fino in Italia: un viaggio che ancora voglio fare”, ha raccontato al The Independent uno dei combattenti siriani al servizio di Tripoli. “L’Europa è la mia unica speranza”, ha proseguito l’intervistato. La paura, insomma, è che in considerazione di tutti questi fattori, il crollo di uno dei due fronti aumenterebbe i rischi per il nostro Paese. I militanti potrebbero voler raggiungere l’Europa, una volta terminato il lavoro. Per questo, dovrebbe essere una priorità dell’Europa adoperarsi per risolvere il conflitto libico, per evitare che i futuri ex combattenti potrebbero arrivare sulle coste europee, anche per fuggire da ipotetiche ritorsioni da parte di una delle due parti. Sull’intera vicenda aleggia anche lo spettro dell’estremismo religioso. Alcuni dei gruppi armati, come la brigata Sultan Murad, provengono da frange dell’Esercito nazionale siriano, in cui sono confluiti anche vari fondamentalisti. Secondo Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra i mercenari inviati in Libia potrebbero infatti figurare anche alcuni ex combattenti del sedicente Stato Islamico o di fazioni fedeli ad al-Qaeda.
Fonte: La Stampa, Il Sole 24 ore, The Indipendent, Il Corriere