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Cronaca

Mafia Capitale, l’ex terrorista Carminati torna libero e senza obbligo di dimora

Massimo Carminati, ex terrorista nero al centro dell’inchiesta Mafia Capitale, lascia il carcere di Oristano. Soprannominato il “cecato” per la sua benda all’occhio, è uno dei principali protagonisti dell’inchiesta “Mondo di Mezzo”. 

Massimo Carminati, arrestato con l’accusa di mafia il 2 dicembre del 2014, torna libero. Il suo nome, legato alla banda della Magliana e a quello di Mafia Capitale, rimbalza oggi sulle cronache dopo che l’istanza presentata dai suoi legali è stata accolta dal Tribunale della Libertà, dopo tre rigetti da parte della Corte d’Appello. Come informa TGCom24, l’uomo ha lasciato il carcere di Oristano alle 13.30 dopo 5 anni e 7 mesi di detenzione, vestito di blu, con una borsa, ed ha evitato di rispondere a qualsiasi domanda dei giornalisti. L’ex militante dei Nar è poi andato via con un taxi. Per Carminati non è previsto nessun obbligo di dimora, nessun obbligo di firma.

I legali dell’uomo – accusato dalla Procura di Roma di essere il capo indiscusso di un’organizzazione di stampo mafioso che ha operato per anni nel Lazio – si dicono soddisfatti della decisione della Corte d’Appello: “Per far rispettare i diritti del nostro assistito ci siamo dovuti battere. L’appello è stato rifiutato tre volte”, dice l’avvocato Francesco Tagliaferri. “La sentenza di annullamento per Mafia Capitale ha assolto Carminati dalle accuse più gravi e fantasiose”, ha proseguito l’avvocato. Un altro dei suoi legali, Cesare Placanica, ha spiegato le dinamiche della scarcerazione di Carminati, che a fine marzo aveva già scontato due terzi della pena per corruzione, il reato più grave per cui è stato condannato. Placanica, riporta La Repubblica, ha spiegato che non essendo arrivata la condanna definitiva, la detenzione preventiva ha raggiunto il suo limite temporale. Intanto, il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha delegato l’ispettorato generale del Ministero a svolgere “i necessari accertamenti preliminari”, fanno sapere fonti di via Arenula.

Chi è Massimo Carminati

Massimo Carminati, soprannominato “Il guercio” – o anche “Il cieco” – a causa di una ferita all’occhio sinistro ricevuta in uno scontro a fuoco nel 1981, era stato arrestato mentre tornava in auto alla sua dimora a Sacrofano. Era dicembre del 2014 e  l’accusa a suo carico era quella di associazione di stampo mafioso. In particolare, gli si contestava di essere entrato in contatto con l’ex consigliere regionale del Partito democratico liberale Luca Gramazio, unico politico a ricevere il 416 bis nel maxi processo per Mafia Capitale, per affari poco leciti. A differenza quindi di quanto accaduto ai 400 indagati per mafia – liberati a causa dell’emergenza Coronavirus – Carminati è libero per l’iter giudiziario che ha fatto il suo corso. Oggi l’uomo ha 61 anni, ma la sua è una figura leggendaria nel “mondo di sotto” romano che ha iniziato – ricorda Il Messaggero – la sua scalata al potere negli anni 70 nei Nuclei Armati Rivoluzionari.

Poi, secondo gli inquirenti, sarebbero arrivati i rapporti con la banda della Magliana: le intercettazioni telefoniche avevano rivelato che Carminati era amico stretto di Francesco Giuseppucci, uno dei membri più importanti dell’organizzazione criminale romana. I casi di cronaca nera più importanti a cui viene associato il nome di Massimo Carminati sono l’omicidio di Mino Pecorelli (per il quale fu assolto) e il furto al caveau della banca di Roma del 1999, messo a segno proprio nel Palazzo di Giustizia a Piazzale Clodio, dove furono sottratti documenti e denaro. Fabio Gaudenzi, militante di estrema destra, lo definì, in un’intercettazione, “Il capo dei capi” oltre che “Un pezzo da novanta”. Secondo gli inquirenti, sarebbe stata proprio la sua reputazione a convincere Roberto Grilli, lo skipper che con le sue accuse fece partire l’inchiesta Mafia Capitale, a ritrattare per paura di subire ripercussioni. Durante le indagini, le prove a sostegno dell’accusa contro gli imputati non sono mai state rilevanti, tanto che il legale di Carminati di quel tempo, Giosuè Naso, aveva definito il processo “Una farsetta”. A suo dire, infatti, “la mafia è una cosa seria. Se definiamo tutti mafiosi, nessuno lo è più davvero”. 

Fonte: La Repubblica, TGCom24, Il Messaggero

Pubblicato da
Manfredi Falcetta

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