Mentre i dirigenti delle associazioni dei lavoratori si scontravano in conferenza video con esponenti del Governo, fuori ai cancelli degli stabilimenti montava la protesta. Il Ministro Gualteri respinge il piano di ArcerloMittal, ma non chiarisce quali saranno le contromosse.
Giornata caldissima quella di ieri sul fronte ArcelorMittal. Fuori dagli stabilimenti di Genova, Taranto e Novi Ligure il presidio è divenuto protesta, con alti momenti di tensione. Come spiega l’Ansa, i lavoratori hanno strappato le bandiere delle maggiori sigle sindacali a testimonianza di una situazione diventata insostenibile. Nelle stesse ore, in conference call, i rappresentanti sindacali e i commissari dell’ex stabilimento Ilva, hanno avuto un duro faccia a faccia con il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, il Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo e il Ministro delle Finanze Roberto Gualtieri. Al centro della discussione una contromossa efficace ed univoca contro il nuovo piano presentato da ArcelorMittal che prevede uno stralcio degli accordi di marzo scorso: 3.200 esuberi immediati, riduzione della produzione e rinvio degli investimenti nel campo della bonifica ed innovazione. Progetto, valutato da più parti, come l’inizio dell’abbandono dell’Italia da parte del colosso franco-indiano dell’acciaio.
I rappresentati dell’Esecutivo del Premier Giuseppe Conte hanno specificato che non ci saranno rese dinanzi alla richiesta di ArcelorMittal. Come riporta Il Sole 24 Ore, il Ministro Gualtieri ha spiegato che l’emergenza Covid, con cui è stato giustificato il piano da parte della multinazionale, non può tradursi nel rigetto degli accordi già stipulati con lo Stato. Queste le dichiarazioni del Capo del Dicastero delle Finanze: “Am Investco – società di ArcelorMittal – si deve assumere le sue responsabilità, per noi bisogna partire dal piano di marzo”. Sulla stessa linea anche il Ministro Catalfo. I rappresentanti sindacali hanno ascoltato attenti gli esponenti dell’Esecutivo stigmatizzare le mosse di ArcelorMittal, in attesa che venisse illustrato un piano di contrattacco da parte del Governo. Ma, a quanto pare, non si è ancora intravisto alcun piano all’orizzonte.
Come spiega HuffingtonPost, i sindacati hanno avuto l’impressione di trovarsi dinanzi ad una discussione senza sbocchi. Il Segretario Generale dei metalmeccanici della Uil, Rocco Palombella, ha tagliato corto: “Il piano di Mittal è inaccettabile, ma voi cosa intendete fare? I lavoratori sono disperati, in cassa integrazione, gli impianti sono fermi e cadono a pezzi”. La rappresentate Fiom, Francesca Re David, ha sbottato: “Ci dite che è inaccettabile, ma vogliamo sapere cosa significa concretamente”. Dopo circa un’ora di conference si è arrivati finalmente al punto: non esiste un piano di rientro. Della mossa del Governo, di far pagare la penale di 500 milioni di euro all’azienda permettendole di andare via dall’Italia, non si intuisce l’utilità. Si rischia di fare un favore enorme ad ArcelorMittal, ormai palesemente ritiratasi dai patti stipulati. L’indotto vale 10.700 operai, più i 1.700 in capo alla gestione commissariale e il futuro di questi lavoratori non può dipendere da un salto nel buio. Cosa accadrebbe se l’azienda franco-indiana dovesse forzare il diktat del Governo, pagare la penale e lasciare il Paese? Il Governo spera di poter raggiungere un accordo per continuare sulla strada della riconversione verde nell’ambito del Green New Deal Ue. Il solo stabilimento di Taranto necessita di un miliardo di euro l’anno – oltre gli investimenti per la bonifica e la riconversione – e sarebbe folle pensare che lo Stato possa accollarsi tali cifre in un momento di crisi economica. Ci sono varie alternative, una meno praticabile dell’altra, che in questo momento vengono sussurrate nei corridoi e nelle stanze di un Mise in fibrillazione. La prima – caldeggiata dal Movimento 5 Stelle – è la nazionalizzazione dell’impianto attraverso la Cassa Depositi e Prestiti. Ma pensare di rischiare i risparmi degli italiani in un mercato in crisi da oltre un decennio potrebbe essere un azzardo.
La seconda ipotesi porta alla ricerca di un’altra cordata di privati che possa rilevare lo stabilimento. Ma trovare investitori per impianti su cui aleggia la spada di Damocle dei sequestri della Magistratura per l’inadeguatezza degli impianti, che confermi 12mila posti di lavoro, che investa in green e in bonifiche appare quasi impossibile. Altresì sarà molto complicato attingere al fondo per le aziende proveniente dall’Ue, dal momento che è riservato alle imprese colpite dalla pandemia e non decotte prima. E mentre fuori dai cancelli i lavoratori, a casa da oltre due anni, a cui era stato promesso di poter rientrare, litigano con chi rischia di essere licenziato, i sindacati battibeccano con il Governo. È un tutti contro tutti. È l’anticipo dell’autunno caldo che ci attende.
Fonte: Ansa, Il Sole 24 Ore, HuffingtonPost