Aiuti del Governo insufficienti per far fronte ai debiti generati dalla crisi del Coronavirus. Misure, quelle poste per la riapertura, che rendono improbabile un riavvio delle attività in sicurezza e nella consapevolezza di un guadagno. Per questo, il 18 maggio, a Roma molte saracinesche dei negozi sono rimaste abbassate. E le luci spente.
C’è chi ha riaperto, alzando le saracinesche delle proprie attività, accendendo le luci e aspettando i clienti. C’è anche chi, invece, ha deciso di non farlo. I primi sono i coraggiosi: quelli che hanno sfidato condizioni improbabili e accettato imposizioni rigide, sperando che le vendite possano in qualche modo compensare i costi e ottimizzare il divario costi-benefici. I secondi, invece, sono i più astuti, ma anche coloro che pagano il prezzo più amaro della crisi innescata dal Coronavirus. Pagano anche l’assenza dello Stato e la mancanza di aiuti da parte del Governo, promessi ma, attualmente, rivelatisi un cumulo di parole.
La protesta di chi ha deciso di non aprire, informa Il Messaggero, è partita da Roma e si è allargata in tutta Italia, colpendo soprattutto i negozi d’abbigliamento al dettaglio. A San Pietro, quasi nessuno ha tirato su la saracinesca. La zona è prevalentemente turistica e clienti vengono in genere da altre città e altri Paesi. “Pertanto, allo stato attuale è impossibile riprendere, e chissà quando si potrà tornare a viaggiare“, spiega Ilaria Bussiglieri, Presidente dell’Associazione commercianti via della Conciliazione. Analoga situazione a Borgo Pio e a Borgo Angelico: troppe spese, pochi ricavi. E il gioco non vale la candela. L’assenza dei turisti, insomma, mette a rischio l’intera sistema che, all’Italia, dava beneficio specialmente in questo periodo. Pagano il presso anche i ristoratori. “Ci sentiamo abbandonati”, dice il titolare di un bistrò Maurizio Camillo. “Ho un dipendente, gli è scaduto il contratto lo sto pagando di tasca mia per non mandarlo in mezzo a una strada”, prosegue Maurizio.
Il motivo dello sciopero è dovuto, secondo il commerciante Giulio Anticoli, alle misure del governo che sono insufficienti per far fronte ai debiti generati in queste settimane: affitti, bollette e tasse gravano come macigni e ora si è alle prese con magazzini pieni di merce da pagare. I fornitori hanno infatti concesso qualche dilazione sui pagamenti, ma non sono previsti tagli. A molti, tra quelli che hanno aperto, non resta altro se non l’arma delle promozioni che in certi casi arrivano anche al 70 per cento. Quella del 18 maggio è stata una protesta simbolica. David Sermoneta, a capo della Confcommercio Centro, ha notato un’attenzione da parte delle persone, una voglia di ritorno alla normalità: “Il vero feedback però lo avremo sabato e domenica”. A Roma, in totale, ha riaperto il 70% delle attività: circa 84 mila negozi degli oltre 120 mila presenti. Ai problemi delle spese e dei costi, si somma un’altra questione: la gente ha paura. Evita assembramenti. Evita di entrare in zone che potrebbero risultare pericolose. Evita i contatti. Evita, insomma, la vita normale.
La Mafia, però, va avanti
C’è a chi va meglio, però. Ieri mattina, informa La Repubblica, la Guardia di Finanza ha sequestrato a Roma quattro locali appartenenti in realtà a una famiglia mafiosa. Durante le settimane di lockdown, la famiglia era riuscita ad acquistare altri tre esercizi divisi in quattro punti vendita, tra cui un bar in via del Corso. “Questo non è uno slogan per una campagna politica o giudiziaria: è la vera Mafia Capitale“, scrive Franco Brechis su Il Tempo. Lo aveva previsto Federico Cafiero De Raho, attuale Procuratore nazionale antimafia: molti pezzi del sistema economico nazionale, e in particolare interi settori della rete commerciale, sarebbero passati in mano alle mafie per la crisi da Coronavirus. “A Roma questo è accaduto, ma è stato sventato“, dice il Magistrato. Il merito sarebbe dello Stato: uno Stato presente, insieme alla Guardia di Finanza, alla Polizia, ai Carabinieri, alle Forze dell’ordine. Ma lo stesso episodio è sintomo anche di un fatto opposto: lo Stato non c’è, e lascia campo libero alle mafie. I provvedimenti di chiusura delle attività economiche sono stati così restrittivi che l’Italia è stato il paese al mondo che ha avuto il peggiore contraccolpo economico, nonostante non sia stato il più colpito dal Virus.
A due mesi di distanza dal primo decreto economico di emergenza, il Cura Italia del 17 marzo scorso, i 600 euro di marzo non sono arrivati al 20% degli aventi diritto; la cassa integrazione ordinaria non è arrivata al 20% dei lavoratori; la casa integrazione in deroga non ha raggiunto l’80% delle persone. “Lo Stato non c’è perché ha preso in giro tutti sostenendo di avere varato ai primi di aprile un «poderoso» intervento per dare 400 miliardi di liquidità alle imprese piccole, medie e grandi”, scrive Brechis. La Sace – società per azioni del gruppo italiano Cassa Depositi e Prestiti – aveva offerto garanzie per circa 100 milioni di euro di finanziamenti: le pratiche in elaborazione invece riguardavano in tutto 11,4 miliardi di euro di finanziamenti; di questi appena 4,5 miliardi di euro dovevano essere immediate. Così, il vuoto dello Stato, viene colmato da altri. Chi pensa di non riuscire a bilanciare il divario costi-benefici, vende. E vende alle mafie che dispongono di liquidità immediata. Chi cerca di andare avanti, e di trovare fondi per farlo, chiede aiuti alla mafia. La prospettiva, da qui al futuro, è che interi settori dell’economia finiranno in mano alle mafie. Un’ipotesi triste, forse evitabile, e che forse diventerà realtà.
Fonte: Il Tempo, Repubblica, Il Messaggero