Dai tamponi effettuati sui lavoratori di 9 aziende venete è emerso che la percentuale delle persone infette è bassissima. E gli infettati non hanno contagiato i colleghi.
Tra timori, incertezze e voglia di riprendere in mano le proprie vite, lunedì 18 maggio la maggior parte delle attività commerciali di tutta la penisola ha ricominciato a lavorare. Già attive da qualche settimana, invece, la maggior parte delle fabbriche. Una delle Regioni che ha spinto di più per la riapertura del Paese è stato il Veneto di Luca Zaia. Regione che ha saputo contenere decisamente bene la diffusione dei contagi del Covid 19 e che ha applicato la politca dei “tamponi a tappeto”. Tamponi effettuati anche sui lavoratori delle fabbriche in modo da poter monitorare la situazione ed essere subito pronti ad isolare eventuali nuovi casi positivi. Ma a quanto pare solo buone notizie. Infatti – riferisce il Corriere della Sera – su 1518 lavoratori testati fino ad ora soltanto 4 sono risultati positivi al Coronavirus e sono tutti asintomatici. I quattro soggetti infettati non hanno contagiato i colleghi e la situazione pare sotto controllo. Il dottor Michele Mongillo, il medico che ha seguito la Regione Veneto in questo esperimento che, presumibilmente, farà da apripista per il resto d’Italia, ha commentato: “In azienda gli infetti non hanno diffuso il contagio.Le misure di contenimento applicate sotto i capannoni stanno funzionando”.
L’analisi è stata coordinata dalla task force antivirus della dottoressa Francesca Russo e ha preso in considerazione 9 aziende di medie e grandi dimensioni dell’area padovana.
Otto di queste nove realtà hanno continuato a lavorare senza sosta anche nella Fase 1 dell’emergenza poiché appartengono alle attività che producono beni essenziali.
Dai test fatti si è scoperto che il 3,5% lavoratori in realtà ha contratto il Covid 19 nei mesi scorsi ma, non presentando sintomi, hanno continuato a lavorare. Tuttavia non hanno infettato quasi nessuno. E hanno sviluppato gli anticorpi.
Dunque la regola per la fase due dovrà essere: non abbassare la guardia ma non lasciare spazio al panico. Tanto più che secondo quanto scritto in un articolo sul New York Times – riportato dal Corriere della Sera – dal professor Erin S. Bromage, docente di Biologia alla University del Massachussets, il luogo in cui è più facile contrarre l’infezione virale è casa propria. Questo perché, se si vive con altre persone, spesso e volentieri uno dei coinquilini viene infettato quando esce e poi porta il virus tra le mura domestiche. E in ambienti chiusi è più difficile mantenere le distanze di sicurezza. All’aperto, invece, le probabilità di venir contagiati si riducono. Discorso diverso se una persona infetta tossisce o starnutisce in faccia ad un’altra: da qui l’importanza di indossare la mascherina. Anche il dottor Carlo Signorelli, professore di Igiene al San Raffaele di Milano, ha spiegato alla Repubblica che il pericolo si annida soprattutto negli ambienti chiusi e relativamente angusti: “La precipitazione delle goccioline respiratorie è molto alta entro 1 metro di distanza, sussiste ancora tra 1 e 2 metri mentre è trascurabile oltre i 2 metri”. Oltre alla dimensione domestica – spiega TGCom24 – altri luoghi dove è più facile contrarre il virus sono le palestre, le Chiese in occasione delle funzioni e delle cerimonie, i bagni pubblici e i mezzi pubblici in quanto, non di rado, sono particolarmente affollati. Ma anche gli uffici sono un luogo a rischio poiché non è da escludere che il Coronavirus possa viaggiare anche attraverso le condutture dell’aria condizionata.
Fonte: Corriere della Sera, Repubblica, TgCom24
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