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Economia

In nessuna parte del mondo norme come queste, dicono i proprietari dell’Harry’s Bar di Venezia

La famiglia Cipriani da ormai tre generazioni gestisce l’Harry’s Bar di Venezia, che però non riaprirà il 18 maggio. Le regole sul distanziamento e le vaghe indicazioni fornite rischiano di portare un danno economico non indifferente. Ma per gli altri locali della catena, sparsi per il mondo, le cose vanno meglio. 

I Cipriani, veneziani, sono una vera autorità della ristorazione italiana. Partendo dall’Harry’s Bar della città veneta, fondato 91 anni fa, hanno aperto ristoranti – ma anche alberghi di lusso e casinò – in tutto il mondo. Un ristorante che si è meritato, nel 2001, la nomina di patrimonio nazionale dal Ministero dei Beni Culturali. Questo locale, che durante la sua storia ha superato la Seconda Guerra Mondiale, le grandi inondazioni della città, ha deciso di non riaprire dal 18 maggio. Lo ha spiegato, a Repubblica, Arrigo Cipriani, 88 anni e seconda generazione dello storico locale: irricevibili le nuove direttive sul distanziamento sociale. Non solo: le sanzioni previste per i ristoranti – da 3 a 5mila euro di multa e chiusura del locale sino a 30 giorni – potrebbero rappresentare il colpo definitivo ad un settore in piena crisi. Le associazioni di categoria parlano addirittura di “trappole” con “tasse mascherate da direttive”.

Il tutto in un contesto già drammatico alimentato dai ritardi dei pagamenti della cassa integrazione per i dipendenti e con la macchina burocratica che impedisce l’arrivo dei sostegni economici per l’azienda. Cipriani è categorico: “Io voglio aprire, a tutti i costi, ma non con le regole imposte dall’Inail. Solo chi non ha idea di cosa sia questo mestiere può imporci ciò che sto leggendo in questi giorni”. Lo storico ristoratore si riferisce in particolar modo alla regola del distanziamento sociale: un metro di distanza tra i commensali – con l’introduzione di un divisorio sul tavolo – e il calcolo di 4 metri quadri per ogni tavolo. Ma non solo: a preoccupare i ristoratori anche la responsabilità penale dei proprietari o gestori sull’eventuale contagio di uno dipendenti. Continua Cipriani: “Al’Harry’s Bar passerei da 150 coperti a 10. Ospitalità e accoglienza e non sono parole vaghe, perché contengono il seme della libertà. Io non voglio imporre nulla al cliente”.

E ancora: “Qui a Venezia ho 75 dipendenti. Vengono al lavoro in tram, in vaporetto, in treno. Come si può sapere se il contagio è avvenuto al lavoro o in viaggio. E proprio la filosofia che non va bene: infierire sull’imprenditore brutto e cattivo”. Le regole guida per la gestione della sala – mascherine per i camerieri, menù alla carta e divieto di buffet, gel igienizzante ad ogni angolo del locale – oltre alle regole di distanziamento nelle cucine, di davvero difficile applicazione, hanno fatto tornare i ristoratori sui propri passi. Restare chiusi è una perdita, ma riaprire senza certezze potrebbe essere paradossalmente deleterio. L’Harry’s Bar ha una perdita – dal 6 marzo scorso – calcolabile in 2 milione di euro, ma riportare nel locale 75 dipendenti, oltre alle spese di consumo, potrebbe rivelarsi difficoltoso. Nelle altre zone del pianeta non è così: un metro di distanza tra i clienti, spiega Cipriani, è abbastanza.

La differenza con gli altri Stati è evidente anche dal racconto del figlio di Arrigo Cipriani, Giuseppe, 55enne e manager principale della catena. L’uomo, che incarna la terza generazione dello storico brand, ha contratto il virus ai primi di marzo, ma ha superato l’infezione ed oggi è pronto a ripartire. Al Corriere della Sera rivela che si trova in Uruguay, dove la società ha ricevuto il via libera per l’apertura di un casinò, anche se la sua base è la città di New York, dove gestisce 4 ristoranti, 2 alberghi e 6 sale eventi, per un totale 2.500 dipendenti; di questi 300-400 sono al lavoro, mentre gli altri sono in cassa integrazione ed hanno ricevuto subito il sussidio del Governo federale. Tempi di pagamenti che sono stati rispettati anche in Gran Bretagna, dove ci sono diversi ristoranti della catena: meccanismo diverso ma ugualmente funzionante, assicura Giuseppe Cipriani: le aziende hanno anticipato la cassa integrazione e il Governo ha rimborsato tutto nell’arco di 30 giorni.

In Italia dove la cassa integrazione non è ancora arrivata per i dipendenti dell’Harry’s, la situazione è critica. Ha spiegato Giuseppe Cipriani: “Abbiamo una classe di incompetenti, gente che fa molte promesse, ma non ne mantiene neanche una. Basta vedere come stanno reagendo gli altri”. Non solo non sono ancora arrivati gli aiuti previsti, si sfoga Cipriani, ma anche le misure richieste per l’apertura sono fuori luogo e non trovano paragoni anche con Paesi che hanno affrontato, come l’Italia, l’epidemia da Covid-19 per primi: “Sono convinto che tutto tornerà come prima. Dovremo cambiare qualche abitudine, ma possiamo ripartire. Domenica scorsa abbiamo riaperto a Hong Kong: distanza tra i tavolini di un metro e mezzo. Non i quattro metri imposti in Italia”.

 

Fonte: Repubblica, Il Corriere della Sera

Pubblicato da
Mario Cassese

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