Coronavirus, il vaccino non sarà distribuito subito a tutti. E l’Italia non sarà tra i primi ad averlo

Secondo l’analisi dell’organizzazione no profit Oxfam, per produrre e distribuire un vaccino a basso costo e accessibile a tutti nei paesi poveri basterebbero 25 miliardi di dollari. Una cifra sostenibile, vista la produzione di alcune case farmaceutiche. Intanto, Washington stringe accordi per assicurarsene le dosi.

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Per vaccinare contro il Coronavirus la metà più povera della popolazione mondiale – 3,7 miliardi di persone – servirebbe meno di quanto le 10 maggiori multinazionali del farmaco guadagnano in 4 mesi. E’ questa la tesi – riporta Repubblica – emersa da un’analisi di Oxfam, Confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale. Per sconfiggere la pandemia, dunque, è indispensabile che Governi e aziende farmaceutiche si impegnino per garantire che vaccini, test diagnostici e terapie siano gratuiti e vengano distribuiti a tutti, in tutti i paesi del mondo, e in ugual modo. “Solo così sarà possibile vincere questa sfida, in cui nessuno è salvo se non lo saremo tutti”, rende noto l’organizzazione alla vigilia dell’Assemblea Mondiale della Sanità, in programma il 18 maggio con i Ministri della salute dei 194 stati membri collegati a distanza.

Sembra tuttavia che le cose non saranno così semplici. Infatti gli Stati Uniti avranno diritto all’ordinazione prioritaria più consistente, a causa di un investimento maggiore effettuato dall’amministrazione e un accordo con la Sanofi, casa farmaceutica francese. Ad annunciarlo, informa La Stampa, il Ceo dell’azienda Paul Hudson. All’Europa e al resto del mondo saranno destinate le dosi rimanenti. Una condizione “inaccettabile”, secondo la sottosegretaria all’economia francese Agnès Pannier-Runacher. E’ insomma idea comune, ribadita anche dalla Commissione Europea, che il vaccino deve essere un bene pubblico: è prioritario anteporre la vita di decine milioni di persone al profitto delle case farmaceutiche. Dai documenti trapelati, si apprende inoltre che l’amministrazione Trump starebbe facendo pressione per ottenere diritti sui brevetti delle case farmaceutiche, che garantirebbero l’esclusività nella produzione e la possibilità di fissare i prezzi di vaccini, terapie e test che svilupperanno.

Sarebbe disumano e controproducente per la tutela della salute di ciascuno di noi, indipendentemente dal Paese in cui viviamo, non garantire a tutti la possibilità di essere vaccinati”, ha detto Sara Albiani, consulente politica di Oxfam Italia per la salute globale, riporta ancora Repubblica. Vaccini, test e cure efficaci e sicure dovrebbero essere prodotti su scala globale e distribuiti senza brevetti, a basso costo, in base ai bisogni nelle diverse aree del mondo, anziché essere messe all’asta al migliore offerente. “Abbiamo bisogno di un Piano globale che stabilisca chiaramente come saranno prodotti e distribuiti, definendo tutte le garanzie del caso”, prosegue la referente. Eppure, sembra chiaro che non sarà così.

“25 miliardi di dollari, meno di quanto guadagnano”

Il rischio, insomma, è che solo i Paesi più ricchi si aggiudicheranno vaccini e cure a scapito di quelli più fragili. Inoltre, il pericolo è che alcune aziende farmaceutiche possano trarre profitti enormi a scapito della salute globale, controllando la produzione e fissando i prezzi di farmaci utili per il trattamento del Coronavirus. Secondo la Fondazione Gates, per produrre e distribuire un vaccino efficace e sicuro per le persone più povere del mondo servirebbero 25 miliardi di dollari – meno dei circa 30 miliardi di dollari che le 10 big del farmaco hanno guadagnato in media in soli 4 mesi lo scorso anno. Ma Paesi ricchi e grandi aziende farmaceutiche, spinti da interessi nazionali e privati, potrebbero impedire o ritardare la distribuzione di vaccini nei Paesi sottosviluppati.

L’Unione Europea, informa Dire, ha presentato una risoluzione all’Assemblea Mondiale della Sanità in cui si propone la creazione di un meccanismo volontario di negoziazione collettiva delle licenze dei brevetti tra Stati e case farmaceutiche. L’obiettivo èquello di condividere dati e conoscenze relative a vaccini, terapie e test diagnostici COVID-19, oltre che garantire prezzi accessibili per il maggior numero di Paesi. Nel documento, sottoscritto dai 193 Paesi membri dell’organismo, si evidenzia “il ruolo dirigente cruciale dell’Organizzazione mondiale della sanità”. Nella risoluzione si chiede di “rafforzare la cooperazione scientifica internazionale per combattere il Covid-19” e di “intensificare il coordinamento”, coinvolgendo anche il settore privato. In una fase segnata da iniziative autonome di ricerca e sperimentazione da parte di multinazionali farmaceutiche, in Europa, in Asia o in America, i Paesi firmatari chiedono di “garantire un accesso e una distribuzione giusti, trasparenti, equi ed efficienti agli strumenti di prevenzione, ai test di laboratorio, medicine e futuri vaccini contro il Covid-19”.

Dosi anche all’Europa

La casa farmaceutica francese, finita sotto accusa dopo la fuga di notizie circa gli accordi con l’America, ha sottolineato che i vaccini andranno anche all’Europa, se questa sarà altrettanto efficace nel finanziare gli studi per il vaccino. “In questo periodo gli americani sono efficaci – ha spiegato il Presidente di Sanofi France, Olivier Bogillot, riporta Adnkronos.Anche l’Ue deve esserlo altrettanto, aiutandoci a mettere a disposizione molto rapidamente il vaccino”, ha proseguito il manager rivelando che l’America ha già previsto di versare centinaia di migliaia di euro, mentre con le autorità europee si è ancora a livello di “pourparler”. Alla fine comunque, ha concluso che ci saranno dosi sufficienti per tutti. Le differenze riguarderanno più che altro le tempistiche di somministrazione.

L’ultimo fra i vaccinati potrebbe essere immunizzato addirittura diversi anni dopo il primo. Ai 12-18 mesi necessari per la messa a punto di un rimedio definitivo contro la pandemia, andrebbero aggiunti anche i tempi per la produzione e la distribuzione. Dei 110 gruppi al lavoro nel mondo, ognuno con un approccio tecnico diverso dall’altro, un terzo circa si trovano negli Usa, una quindicina in Europa e altrettanti in Cina. Chi prima otterrà l’immunizzazione, prima potrà riaprire la sua economia. In testa Pechino, con quattro degli otto prototipi già in sperimentazione sull’uomo e dati positivi nelle scimmie.

Fonte: Adnkronos, Repubblica, La Stampa, Dire

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