A seguito del ritorno di Silvia Romano, rapita nel 2018 in Kenya, le Ong sono finite al centro del vortice mediatico e si discute sulla loro sicurezza, oltre che sul ruolo dei volontari: “Sono pericolosi e controproducenti”.
Sono giorni che da ogni parte d’Italia arrivano commenti, dichiarazioni e ipotesi sul caso di Silvia Romano, rapita da un gruppo di terroristi. Sebbene ora la giovane sia tornata a casa la la questione sembra tutt’altro che risolta: tante sono le polemiche nate sul sequestro e sulle organizzazioni Ons – cui si era affidata Silvia. Secondo Daniela Gelso, Progect manager di alcune delle principali Ong italiane e francesi e intervistata da Tpi, questo del volontario è un mestiere che non si improvvisa, “altrimenti si rischia la vita“.
La manager afferma che Silvia è partita sprovvista di esperienza in quanto non è una cooperante “e tecnicamente, neppure una volontaria, ma una ragazza neolaureata, inesperta, che è stata incautamente esposta a rischi enormi”: la differenza è abissale in quanto si è ben lontani dai professionisti retribuiti e specializzati, con esperienza alle spalle per affrontare l’avventura. D. Gelso parla di Silvia come una vittima di chi l’ha rapita ma anche dell’associazione, colpevole di non averle fornito una protezione adeguata. Avendo trascorso dodici anni in Africa occidentale e centrale – tra Guinea Bissau, Burundi e Costa d’Avorio – si esprime sull’espressione più spinosa di tutte: la veridicità e affidabilità delle Ong che ci circondano. “La onlus con cui collaborava, non è una Ong.” L’Africa Miele Onlus, stando alle parole della manager, è piccola, sconosciuta e non accreditata dall’AICS – Associazione Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo, ndr –, oltre che non essere iscritta a nessuna federazione. “L’organigramma consultabile sul sito dell’associazione fa pensare ad una struttura a gestione familiare (…)”
Lilian Sora: fondatrice di Africa Miele
Quelle di Daniela Gelso sono dichiarazioni forti e che mettono in discussione la validità dell’associazione con cui è partita Silvia Romano. A fondarla è stata Lilian Sora – racconta il Corriere -, 42 anni e fanese di Falcineto Castracane. Viene descritta come spontanea e genuina, che mette tutta se stessa nel progetto africano. “Devo dire che s’è data molto da fare” afferma una signora romana ed ex collaboratrice dell’associazione. “Poi ho smesso. A un certo punto qualcuno malignava che assieme agli aiuti servissero a trasportare anche qualche prosciutto,” continua e ride riferendosi alle cattiveria della comunità. Ma non finisco qui i commenti su “Africa Miele” che, infatti, è conosciuta come l’associazione che si arrangia: è l’ultima arrivata nel mondo delle Ons e forse sorda ai consigli dei veterani. “Le chiamavamo le ragazze con la valigia. Atterravano dall’Italia con queste borse piene di medicinali e di latte in polvere da portare a Chakama. Facevano un po’ da postine. Perché lavoravano per un’organizzazione piccola e, insomma, dovevano arrangiarsi”.
Lilian Sora si è rimboccata le maniche per dare una mano e tanti sono i bambini che ha aiutato. Nonostante ciò i punti interrogativi sono tanti, come dice anche Popi Fabrizio – pseudonimo di Salvatore Fabrizio, fondatore dell’associazione KARIBU – che in passato ha avuto una discussione con Sora. “Io per esempio smisi nel 2013 d’accettare volontari, perché sono pericolosi,” questo suo commento a seguito del sequestro di Silvia. I volontari, continua, tendono sempre a mettersi nei guai. Sono pericolosi per l’inesperienza e si fanno confondere dall’amore per i bambini. “Pensano a una bella vacanza, pensano alla novità, pensano alle foto, ai milioni di video che poi di sera postano sui social. Pensano di essere immuni da tutto e quasi ogni giorno, senza saperlo, rischiano grosso.”
Simona Contaldi
Fonte: Corriere, Tpi