Silvia, davanti ai suoi sequestratori la testimonianza di fede. E gli jihadisti, sui social, festeggiano

Cosa è successo a Silvia Romano durante i diciotto mesi di prigionia nelle mani dei terroristi di Al Shabaab? Dopo gli abbracci e i sospiri di sollievo iniziali, tanti sono gli interrogativi a cui rispondere. Intanto, in queste ore, sui canali della propaganda jihadista, rimbalzano le immagini dell’arrivo di Silvia a Ciampino.

silvia romano ritorno a casa - Leggilo

Il ritorno a casa di Silvia Romano non ha chiuso nessuna storia; anzi, i suoi 18 mesi di prigionia restano ancora tutti da chiarire, come un puzzle da ricomporre con le diverse tessere da inserire al posto giusto. La volontaria, rapita 18 mesi fa in un villaggio del Kenya e liberata in una zona non lontana dalla capitale della Somalia, è arrivata a Ciampino a bordo di un aereo dell’Aise, scortata da agenti dei servizi segreti. Silvia Romano, ora Aisha, ha risposto per oltre quattro ore alle domande dei magistrati della procura e agli investigatori del Ros, nella caserma sulla Salaria, a Roma, raccontando di quando venne rapita, il 20 novembre del 2018, da una decina di uomini armati a Chakama, un villaggio a 80 chilometri da Malindi. La cooperante ha descritto i giorni nei diversi covi; gli spostamenti da un rifugio all’altro; la conversione all’Islam; il modo in cui veniva trattata da chi la teneva prigioniera, uomini del gruppo islamista legato ad Al-Shabaab.

L’inchiesta per sequestro a scopo di terrorismo internazionale aperta dalla procura di Roma e dai Carabinieri del Ros – informa Repubblica – ha ancora diversi punti da chiarire. In particolare, tra i dubbi degli inquirenti, c’è l’operato dell’associazione di volontariato di Fano, Africa Milele Onlus: com’è potuto accadere che una minuscola associazione abbia inviato Silvia in una delle zone più pericolose del Kenya? Con misure di sicurezza, tra l’altro, facilmente eludibili. Un altro punto oscuro resta la conversione. Silvia è la terza prigioniera su tre, nell’ultimo anno, che dopo il sequestro torna a casa convertita all’Islam. Era già successo ad Alessandro Sandrini, bresciano, liberato nel maggio 2019 dopo essere stato per tre anni ostaggio di un gruppo legato ad Al-Qaeda, in Siria; e anche al padovano Luca Tacchetto, sequestrato in Mali per 16 mesi con la sua fidanzata canadese, entrambi liberati a marzo di quest’anno. Rispetto agli altri ostaggi liberati, e a Sandrini soprattutto, la 25enne non mostra alcun segno di radicalizzazione.

“Questo tipo di conversioni – spiega una fonte dell’Aisedi solito si consolida su tre moventi: il plagio, la speranza di ottenere un trattamento migliore da parte dei sequestratori, la classica sindrome di Stoccolma”. Rispetto ai tempi dell’Isis e delle brutali esecuzioni pubbliche, i recenti sequestri mettono al centro, come bene prezioso perché più remunerativo in termini di immagine e di riscatto in denaro, la vita degli ostaggi. Mostrarli al mondo mentre tornano a casa in buona salute, convertiti al loro stesso Dio, è un eccellente strumento di propaganda. Infatti, nelle ultime ore, su alcuni canali Telegram di islamisti rimbalza la fotografia del rientro a casa di Silvia, coperta dallo jilbab verde, simbolo della conversione all’Islam. Il pm Sergio Colaiocco e i carabinieri del Ros, oltre che sul sequestro per finalità terroristiche, indagano sull’associazione a delinquere di stampo terroristico. Secondo quanto affermano gli inquirenti fino a questo momento, i vertici di Al Shabaab hanno gestito direttamente l’operazione effettuando due sopralluoghi tra settembre e novembre 2018, quando Romano era stata una prima volta in Kenya, per valutare il momento migliore per il rapimento.

La conversione e il sequestro

Il racconto di come la conversione è avvenuta offre spunti importanti: sono stati i carcerieri a offrirle il Corano, quando ha chiesto qualcosa da leggerle; sono stati loro a fornirle il computer, non collegato a Internet, all’interno del quale c’è un Pdf dei testi sacri in inglese-arabo, in modo che potesse comprenderli, oltre a video di dottrina religiosa. “Ma c’erano anche video sulla natura e sugli animali che mi facevano compagnia”, ha raccontato Silvia agli inquirenti, spiegando anche che è stato proprio davanti ai suoi carcerieri che è avvenuta la shahada, la testimonianza di fede che sancisce la conversione all’Islam.

Silvia dunque è stata sequestrata da carcerieri jihadisti. Ma, secondo le carte della procura di Roma, nessuno probabilmente l’ha tutelata come avrebbe dovuto. La onlus Africa Milele, l’associazione di volontari con cui Silvia è partita per assistere i bambini in Kenya, non aveva adottato alcun protocollo di sicurezza per proteggerla: la ragazza non aveva ricevuto alcuna indicazione su come prevenire o gestire un possibile pericolo. Il posto di polizia più vicino dal villaggio di Chakama, nella contea di Kilifi, dove è stata rapita, dista tre ore di auto. E a tutelarla avrebbero dovuto pensarci due masai che lei praticamente non ha mai visto. La fondatrice della Onlus, Lilian Sora, ha sostenuto, sotto interrogatorio alcuni dettagli sulle presunte misure di precauzione adottate che poi non si sono poi rivelate vere. Non a caso sin dalle settimane immediatamente successive al sequestro, la famiglia Romano ha interrotto ogni rapporto con Africa Milele. La onlus di Fano, ora che tutto è finito, avrà molto da spiegare.

Fonte: Rainews, Repubblica

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