Silvia Romano, rapita in Kenia nel 2018, torna dopo quasi due anni a casa. Tanti sono però i commenti degli italiani, contrari alla conversazione all’Islam.
Due giorni fa, il 10 Maggio 2020, Silvia Romano è atterrata all’aeroporto di Fiumicino rifugiandosi subito nelle braccia della madre in lacrime. La 24enne era stata rapita il 20 novembre del 2018 in Africa, dove era tornata come volontaria a seguito di una prima esperienza estiva. La seconda volta non si è rivelata fortunata, assumendo connotati tragici: Silvia è rimasta sotto il controllo dei sequestratori e lontano dalla famiglia per 18 mesi.
ìL’Italia si è subito divisa in due fazioni: a disturbare molti è la nuova veste della ragazza che si presenta come Aisha e racconta di essersi convertita leggendo il Corano durante i mesi di prigionia. Critico è stato Flavio Briatore, imprenditore e dirigente sportivo italiano parlando a L’Aria che tira su La7: “L’unica cosa di cui non sono contento è che quando scende dall’aereo con quella palandrana che rappresenta Al Shabaab e le donne di Al-Shabaab non mi sembra una grande pubblicità”. Sono parole dure in cui si rispecchia la disapprovazione di tanti altri. Sulla conversione della ragazza si pronuncia senza peli sulla lingua e riferendosi al noto gruppo terroristico colpevole della cattura dice: “Si è convertita ad Al-Shabaab, non all’Islam. C’è una bella differenza”.
L’imprenditore però non è l’unico a essersi dichiarato scettico e tra le tante voci ricordiamo Maryam Ismail, antropologa della comunità somala di Milano, che esprime la propria opinione: come racconta il Giorno, la donna non ritiene la sua conversazione come “una scelta di libertà,” perché “non può esserlo stato in quella situazione.”. Scegliere una fede è qualcosa di intimo e personale, ma soprattutto di bello e che quindi non può ricollegarsi all’esperienza drammatica che ha vissuto. “Si riesce soltanto a immaginare lo spavento, la paura , l’impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare? Certamente no” e conclude” Comprendo tutto di Silvia. Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire.”
Dopo le numerose accuse e supposizioni, a rispondere è proprio Silvia – scrive il Corriere: racconta di aver chiesto ai suoi carcerieri un quaderno per appuntare ogni dettaglio e spostamento, ed è proprio così che riesce a ricostruire con precisione ogni istante della prigionia. Quando parla è tranquilla, esprime serenità e non mostra dolore nel tono di voce: ricorda i momenti della cattura, quando tre uomini l’hanno potata a 80 chilometri dal villaggio Chakama in cui si trovava, e confessa i pianti che l’hanno accompagnata nel primo mese. Poi è arrivata la calma: “Mi hanno detto che non mi avrebbero fatto del male, che mi avrebbero trattata bene,” afferma e poi continua: “Stavo sempre in una stanza da sola, dormivo per terra su alcuni teli. Non mi hanno picchiata e non ho mai subito violenza. Non sono stata costretta a fare nulla”. Solo un uomo, dice, parlava inglese ed è a lui che ha chiesto il Corano: l’ha fatto di sua spontanea volontà e senza obblighi. E’ lì che è iniziato il percorso che l’ha portata alla conversione: “Sono sempre stata chiusa nelle stanze. Leggevo e scrivevo.”
Ma la presenza della ragazza nel villaggio in cui è stata rapita a suscitare perplessità. Sul punto Briatore ha commentato “Conosco la Ong Africa Milele – per cui Silvia lavorava, ndr- con cui è arrivata, ma lei ha deciso di unirsi ad un gruppo e andare a Chakama un posto più isolato, forse voleva sentirsi più libera, nonostante le autorità l’avessero sconsigliata di recarsi in quelle zone. Se vai in certi posti è inevitabile che avrai dei problemi“, ha concluso.
Simona Contaldi
Fonte: La7, Giorno, Corriere
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