Padre Giulio Albanese, 61 anni, missionario comboniano, giornalista, esperto di Africa, commenta la liberazione di Silvia Romano. La conversione della ragazza, infatti, resta uno dei punti più oscuri che si celano dietro il suo rapimento e sui 18 mesi trascorsi nelle mani del gruppo terroristico al-Shabaab.
La conversione all’Islam di Silvia Romano pone diversi interrogativi. Resta da capire, infatti, quali rapporti intrattenevano con lei i jihadisti somali del gruppo al-Shabaab, che l’hanno rapita il 20 novembre 2018 nel Sudest del Kenya. Dopo la sua liberazione, la ragazza ha dichiarato di essere stata forte e di aver resistito, ma anche di non aver subito pressioni né violenze psicologiche o fisiche. Tuttavia, la conversione della cooperante resta uno dei punti oscuri da chiarire, secondo gli inquirenti, che indagano sulla sua liberazione e su quanto accaduto durante questi 18 mesi. Una conversione, a detta della ragazza, avvenuta di sua spontanea volontà, senza alcuna forzatura esterna. Sarebbe stata lei, dopo diversi mesi di reclusioni, a chiedere il Corano. Le sarebbe stato fornito anche un computer, privo di connessione ad internet, dove poter leggere i testi sacri e vedere alcuni video. Qualcosa, però, non torna, tanto che c’è chi parla di Sindrome di Stoccolma o chi ipotizza che dietro la sua conversione ci sia stato comunque un perverso meccanismo di sudditanza psicologica che l’avrebbe spinta a sposare la fede dei suoi aguzzini.
“Bisogna capire che cos’è successo. L’Islam fanatico ti spinge a uno scambio: la tua conversione in cambio della tua vita”, ha detto Padre Giulio Albanese, intervistato al Corriere. “Ho visto il sorriso di Silvia, all’aeroporto di Ciampino. Ma quel sorriso non mi dice nulla. Non mi convince. C’è sotto qualcosa di molto più complesso”, ha detto il comboniano, in passato sequestrato solo per pochi giorni, ma bastati per capire come quelle esperienze colpiscano nel segno. Nell’intervista, Padre Giulio Albanese frena i giudizi sul rilascio della cooperante italiana e sulla sua conversione all’Islam: “Ci si dovrebbe rendere conto di che cosa significhi finire nelle mani di Al Shabaab. È l’equivalente di Boko Haram in Nigeria. Gente che te ne fa di cotte e di crude”, afferma il missionario. Tuttavia, è presto e prematuro dare giudizi, in quanto non sappiamo quali siano state le condizioni spirituali e mentali della ragazza, sottoposta ad un regime di controllo. “Ti puntano il fucile: o ti converti, o ti ammazzi. Non è una vacanza alle Maldive. Lo choc psicologico scava a lungo”, prosegue Padre Albanese. Quasi tutte le ragazze rapite da Boko Haram, in Nigeria, erano tutte cristiane o animiste, costrette a convertirsi. Quanto alla domanda sul presunto riscatto pagato dallo Stato italiano per la liberazione di Silvia Romano: “Eviterei una certa ipocrisia, quando si dice che si sono finanziati gli Shabaab. L’Italia è leader nell’esportazione di armi proprio nei Paesi in cui ci sono questi gruppi terroristici”.
“Il Corano per capire meglio i suoi rapitori”
Paolo Branca, islamologo e docente di Storia delle religioni all’Università cattolica di Milano, interpellato dal Giornale.it, ha spiegato come, in casi come questo, ci sia spesso un trauma all’origine del distacco dalla fede dei propri familiari e ha provato a interpretare i segni di quanto raccontato da Silvia nelle sue prime ore di libertà: “C’è spesso un trauma all’origine del distacco dalla fede dei propri genitori e non a caso molti si vedono poi impegnati più a denigrare la religione abbandonata che a magnificare la nuova”. La richiesta del Corano e non della Bibbia si potrebbe spiegare, secondo l’esperto, con il fatto che conoscere il testo sacro dei suoi rapitori può averla aiutata a capirli meglio e a usare un linguaggio a loro noto. Infatti Silvia, durante le sue ore di interrogatorio, avrebbe dichiarato di aver imparato anche un po’ di arabo. Conoscere le lingue altrui è sempre un vantaggio, anche in chiave difensiva.
“Posto che non è detto che i rapitori abbiano parlato arabo, impadronirsi un po’ della lingua dell’avversario aiuta a conoscerlo meglio, a comprendere”, sostiene Branca. In sostanza, la conversione all’Islam può essere stata influenzata dal fatto che i suoi sequestratori appartenessero molto probabilmente a un gruppo fondamentalista: “Mi pare evidente che se i rapitori fossero stati di un’altra religione o atei, sarebbe stata meno probabile la richiesta di una copia del Corano, seguita addirittura da una conversione”. In generale, ha proseguiti l’esperto, i neoconvertiti sono più scrupolosi dei credenti comuni, ma ci sono anche forme di avvicinamento spirituale che non comportano né risentimento verso la fede precedente, né atteggiamenti radicali. La giovane cooperante, durante la sua lunga audizione, avrebbe riferito di aver sentito il canto del muezzin più volte al giorno, durante le fasi della sua prigionia. Anche questo avrebbe potuto aver influito.
“In situazioni di grave privazione della libertà, qualsiasi suono, immagine e persino odore possono diventare ossessivi o consolatori” – ha detto Branca – “Tutti i testi sacri di ogni religione hanno parole di conforto e speranza per gli esseri umani che vivono l’esperienza del limite”. In particolare, il Corano sottolinea l’abbandono fiducioso al volere divino anche nelle avversità, fino a un certo grado di fatalismo che, in situazioni estreme e senza uscita, può risultare consolatorio.
Fonte: Corriere, Il Giornale