Silvia Romano è rientrata in patria dopo 18 mesi di prigionia. Ha abbracciato la sua famiglia; incontrato il Premier Giuseppe Conte e il Ministro degli Esteri Di Maio; ha scattato qualche foto. Poi, è stata portata davanti al Pubblico Ministero Sergio Colaiocco per ricostruire i giorni della sua prigionia.
Silvia Romano è tornata. Ad aspettarla all’aeroporto di Ciampino a Roma c’erano la sua famiglia, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Silvia Romano è atterrata in Italia poco prima dell 11 del mattino, nella giornata di ieri, dopo 18 mesi di prigionia. Era il 20 novembre del 2018 quando la cooperante di Milano è stata rapita dal villaggio Chakama, a 80 chilometri da Malindi, in Kenya, dove lavorava per l’Onlus “Africa Milele”. Da allora, ha preso il via una trattativa estenuante e faticosa – condotta dall’Agenzia informazioni e Sicurezza esterna, i servizi segreti turchi e somali – di cui in queste ore iniziano a circolare le prime indiscrezioni. A Ciampino, sotto l’occhio dei media e dei giornalisti, il lungo abbraccio di Silvia con i familiari. Le misure precauzionali di distanziamento sociale, in questo caso, non sono valse a nulla.
Silvia Romano, tuttavia, è apparsa tranquilla e sollevata. Lei stessa, alla stampa, lo ha confermato: “Sto bene, fisicamente e mentalmente”, ha detto. La ragazza indossava guanti e mascherina, oltre ad un lungo abito islamico. Come spiega Il Fatto Quotidiano, il Premier, che ha la delega ai servizi segreti, ha rivelato che le trattative andavano avanti già da qualche mese. “In un momento di grande difficoltà che il Paese sta vivendo, questo è un messaggio di speranza. Lo Stato c’è”, ha detto Conte. Le prove sul fatto che la ragazza fosse in vita erano arrivate già ad Aprile. Ma, per motivi di sicurezza e per non invalidare l’indagine, la segretezza è stata parola d’ordine.
Bentornata in Italia, Silvia! pic.twitter.com/aWyBPzZDGJ
— Giuseppe Conte (@GiuseppeConteIT) May 10, 2020
Il Capo della Farnesina Di Maio ha invece avuto un pensiero per quei cittadini ancora in uno stato di prigionia all’estero. “Lo Stato non lascia indietro nessuno”, ha detto il grillino. Eppure, molti sono gli italiani che in queste ore si chiedono dove sia lo Stato, dove siano i sostegni alle imprese, dove siano gli aiuti promessi e non dati. Un lavoro complicato, quello della liberazione, che ha visto l’intelligence italiana, guidata dal Generale Luciano Carta, lavorare in una Somalia dilaniata da una guerra civile che si protrae da anni. Sulle cifre del riscatto, o dell’operazione nel suo complesso, resta ancora il massimo riserbo. Si parla di quasi 4 milioni di euro; altre indiscrezioni invece fanno riferimento ad un milione e mezzo. I vari step, i passaggi da informatore a informatore, sono stati pagati a caro prezzo: il 23 aprile, grazie l’aiuto dei servizi turchi, molto attivi sul territorio, si era arrivati ad un informatore pagato circa 200mila dollari, che aveva rivelato la zona in cui si trovava Silvia: il villaggio di Buulo Fulaay. Inizialmente, il gruppo somalo jihadista Al Shabaab avrebbe avanzato una richiesta di 10 milioni di euro per tutto il gruppo di ostaggi, rendendo la trattativa estremamente difficile. Un incredibile colpo per il gruppo, che non solo ha legittimato la sua posizione internazionale, oltre ad un rafforzamento economico, ma ha anche fatto, agli occhi degli Stati islamici, il grande salto da sparito gruppo terroristico a principale conduttore della jihad.
Dopo Ciampino, Silvia Romano è stata portata dal Pubblico Ministero Sergio Colaiocco, che ha ascoltato la ragazza per diverse ore, in presenza anche dei Carabinieri del ROS. Ad accompagnare la giovane 24enne, una psicologa che l’affianca dalla sua liberazione e che la segue dall’ambasciata italiana di Mogadiscio. Come spiega Il Corriere della Sera, Romano è apparsa sempre lucida durante il suo racconto, citando date ed eventi con estrema precisione. Questo anche grazie, come ha raccontato la stessa giovane, ad un quaderno dove ha appuntato i giorni della sua prigionia. Il racconto di Romano inizia dalla consegna al gruppo somalo da parte degli esecutori materiali del sequestro. La giovane ha spiegato il villaggio non era mai stato preso di mira da alcun gruppo, ed era stato considerato relativamente sicuro, anche se non era protetto. Il gruppo, dopo la consegna della giovane, si era poi immediatamente messo in cammino verso la Somalia.
La ragazza ha spiegato di essere stata l’unica donna del gruppo, già dal primo covo in cui era stata portata. Rinchiusa in una stanza, le era stato promesso che non sarebbe stata né maltrattata né uccisa. E così è stato. “Stavo sempre in una stanza da sola, dormivo per terra su alcuni teli. Non mi hanno picchiata e non ho mai subito violenza”, ha raccontato la giovane. Poche settimane e Silvia Romano viene spostata di nuovo, mentre in Italia circolano voci allarmanti: che sarebbe incinta e sarebbe stata costretta a sposarsi, notizie smentite in interrogatorio. In questi giorni la cooperante chiede altri quaderni e libri da leggere, compreso il Corano. La lettura del libro sacro dell’Islam, del tutto volontaria e senza costrizioni come invece si pensava in un primo momento, ha portato la giovane a convertirsi ed a cambiare il suo nome in Aisha: “Leggevo il Corano, pregavo. La mia riflessione è stata lunga e alla fine è diventata una decisione”.
Ad un anno dalla sua cattura, siamo nel novembre dello scorso anno, arriva la conferma per i servizi italiani: in un video girato dai rapitori si vede Silvia, che dice di star bene. Girato un po’ di tempo prima, è la prova che Romano è nelle mani di Al Shabab. Iniziano i contatti con i turchi, che mettono gli agenti italiani sulla giusta pista. Il 17 gennaio un nuovo video, una prova della reale voglia del gruppo di voler portare a termine l’operazione: “Durante la prigionia ne ho girati tre”, racconta la giovane. L’incontro avviene tra il 9 e il 10 maggio: Silvia è libera e potrà tornare finalmente a casa.
Fonte: Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Quotidiano