Quante armi abbiamo finanziato con i soldi del riscatto dati agli estremisti islamici per liberare Silvia Romano? La vita umana non ha un prezzo, è vero. Ma, secondo i terroristi islamici, a quanto pare sì.
4 milioni di euro. Secondo le prime indiscrezioni trapelate fino a questo momento – informa Il Messaggero – sarebbe stata questa la cifra del riscatto pagata per liberare Silvia Romano dalle mani dei terroristi islamici che l’avevano rapita ormai più di 18 mesi fa. Le pagine dei giornali di questa mattina, inaspettatamente, non si sono aperti con le notizie sul Coronavirus – che per un giorno sembra aver abbandonato le nostre vite – ma con il nome di Silvia scritto ovunque sui titoli e negli articoli. Giustamente, aggiungerei. Perché la cooperante, partita alla volta dell’Africa più di 18 mesi fa, ha in effetti vissuto un inferno durato più di un anno. Inferno che sembra, a quanto pare, più terribile da vivere per noi che non l’abbiamo vissuto che per lei che l’ha visto con i suoi occhi. Oppure, forse, il suo mostrarsi sorridente, il suo asserire di star bene, mentalmente e fisicamente, è solo una reazione per mostrarsi forte davanti ad un dolore che, certamente, c’è stato. Un dolore inimmaginabile, unito alla sensazione di paura, al meccanismo di sudditanza psicologica, all’idea di essere perennemente sotto controllo a noi che, proprio in questi giorni, viviamo rinchiusi nelle nostre case ad un passo dall’esaurimento di massa.
Silvia Romano, comunque, è parsa serena. Lo ha detto lei stessa e l’hanno confermato gli inquirenti che l’hanno ascoltata per 4 ore, informa Rainews. “Sto bene, non ho subito violenza, ho scelto io di convertirmi, sono stata trattata sempre con rispetto”: una descrizione, quella della sua prigionia, che sembra andare controcorrente rispetto all’idea che tutti noi avevamo dei suoi giorni in mano agli estremisti. Una descrizione che ci da un po’ di sollievo, forse, a pensare che avrebbe potuto vivere giorni peggiori, Silvia, lì dentro. Perché, la Silvia che è partita, è un po’ la Silvia di tutti noi: quella che vuole un mondo migliore, partita per aiutare gli altri, senza chiedere nulla in cambio. La Silvia che abbiamo avuto in cambio, però, è una Silvia che lascia di stucco.
E non tanto per l’abito – che pure, visivamente, lascia perplessi; a far storcere il naso e farci sorgere dei dubbi è la sua fede. Certamente, il credo è una libera scelta: siamo atei, cattolici, cristiani, musulmani. Che importa, ormai? Ma sembra forse difficile da capire, a noi che abbiamo visto il suo ritorno, come abbia potuto, Silvia, decidere di leggere il Corano; decidere di convertirsi alla fede dei suoi aguzzini; decidere di non essere arrabbiata, né incattivita, né disperata per quanto le è accaduto. Forse, gli inferiori siamo noi. Forse, in effetti, noi non ce l’abbiamo tutta questa speranza nella vita. Probabilmente, come sostengono alcuni, Silvia avrebbe potuto subito meccanismi psicologici che l’avrebbero indotta ad una conversione. Quali scelte farà Silvia da ora in poi? No, non possiamo dire che la questione non ci tocchi. Ci tocca. Ci riguarda. Perché la sua vita passa attraverso lo Stato italiano, e tra l’altro anche attraverso un po’ di tasse di ciascuno di noi. Chiunque, in effetti, pagherebbe per contribuire a salvare una vita umana: ma potrebbe, comunque, non volerlo fare. E potrebbe comunque essere legittimato a chiedersi il perché.
Moltissimi cittadini, ogni giorno, fanno scelte, subiscono conseguenze, e vengono abbandonati al proprio destino. E se è vero che è agghiacciante chiedersi quanto valga una vita umana, di fatto il pagamento del riscatto e la conseguente liberazione di Silvia ha avuto un costo. I soldi, pochi o tanti che siano, hanno di fatto finanziato il terrorismo. Di conseguenza, ieri e nei mesi che hanno preceduto la liberazione è stata avviata una trattativa con i terroristi che la tenevano prigioniera: la mossa di ieri è stata un cedimento al terrorismo. E se è vero che la vita umana non può essere quantificabile, ieri un valore l’abbiamo dato. O meglio, l’hanno dato i terroristi di Al-Shabaab. 4 milioni di euro. Certo, meno dei 49 milioni, dirà qualcuno. Indubbiamente neanche così tanto, dirà qualche altro. Ma nel momento in cui uno Stato laico e democratico decide di dare anche solo un euro ai terroristi, una domanda bisognerebbe farsela a prescindere sul significato morale implicito di ciò che stiamo facendo.
Pochi, a mio avviso, possono sostenere che ci fossero altre alternative possibili: l’alternativa, in sostanza, era lasciarla morire, lasciarla prigioniera, e abbandonarla al suo destino. Ma una Silvia libera, vuol dire soldi ai terroristi. Soldi che, presumibilmente, saranno investiti per comprare armi, che saranno poi usate – ancora presumibilmente – per altri atti terroristici e che quindi costeranno la vita a un numero maggiore di persone. Quindi, a conti fatti, ieri abbiamo salvato una vita e ne abbiamo uccise chissà quante altre. La liberazione della ragazza ha insomma diverse implicazioni, tocca una faccenda delicata, e tutti – chi più, chi meno – si stanno interrogando al riguardo. L’Italia ha dato sostegno finanziario a un’organizzazione estremista. Che potrebbe, in futuro, giovare da quanto accaduto. La scelta di Silvia, per quanto spiaccia dirlo, ha comportato più danni che benefici. Bello l’abbraccio tra madre e figlia; bello che una vita umana sia tornata libera; bello che qualcuno non sia morto. Ma ciò che è bello, non sempre è ciò che conta: abbiamo agito, abbiamo fatto ciò che era giusto. Ma fingere che non ci saranno conseguenze – politiche, economiche, sociali – è come mettere una benda davanti agli occhi. Togliamola, la benda, e diciamo invece che Silvia avrebbe potuto essere la figlia e la madre di tutti noi. Che, in quel caso, avremmo fatto di tutto per salvarla. Che, infatti, l’abbiamo fatto. E che, comunque, il costo è stato elevato.
Chiara Feleppa
Fonte: Rainews, Il Messaggero
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