Il Coronavirus si diffonde in tutto il mondo, introducendosi anche all’interno delle carceri e obbligando una liberazione dei detenuti per evitare il contagio.
Eleonora Perrone, classe ’76, è un’altra delle tante vittime coniugali che ci circondano e come spesso accade le violenze si sono concluse nel modo più tragico possibile. E’ il 5 settembre 2019 quando il corpo della donna viene ritrovato senza vita e pieno di tumefazioni. Come riporta Fanpage, la tragedia sarebbe avvenuta in serata, dopo che i due avevano trascorso una piacevole e serena giornata in gita al Lago di Garda. Una volta a casa è iniziata la discussione e la donna – vulnerabile perché bloccata da un tutore alla gamba e da stampelle – viene aggredita dal marito, Marco Manfrini: picchiata, scaraventata contro dei tronchi. presa a morsi e seviziata. Ad allertare le autorità è lo stesso Manfrini il giorno dopo, chiamando il 112. I familiari di Eleonora sono stati poi ospiti a Chi l’ha visto. Sono parole piene di dolore e rammarico quelle della sorella Erika Perrone: “Mia sorella ha sofferto due ore e mezza, torturata, seviziata, cannibalizzata“.
L’uomo, già accusato di violenza sessuale, lesioni e minacce, viene condannato e la storia sembra concludersi. Oggi, tuttavia, l’assassino di Eleonora si trova agli arresti domiciliari e senza braccialetto elettronico per colpa dell’emergenza Coronavirus: le motivazioni del giudice sarebbero dettate dalla limitazione fornita dalle misure di contenimento, grazie alle quali il braccialetto non sarebbe necessario.
Dopo l’annuncio della momentanea libertà di Manfrini la madre e la sorella della vittima sono state nuovamente ospiti del programma “Chi l’ha visto”, esprimendo timore per la scelta: “E’ una persona molto pericolosa“. “Non è infetto. Sia chiaro, non è in pericolo di vita. Non è in una terapia intensiva attaccato a una macchina che lo aiuta a respirare. No. È a casa sua senza alcun dispositivo di tracciamento. Con la concreta possibilità che possa andarsene dove vuole”.
Il caso Manfrini non è l’unico
Marco Manfrini non è stato il solo che, in questi giorni, ha beneficiato delle scarcerazioni dovute al pericolo di contagio nelle carceri: anche Franco Cataldo, 85 anni, accusato dell’omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo. ricorda il Corriere, al momento è ai domiciliari in quanto malato .
L’uomo è originario di Gangi – Palermo – e nell’estate del 1994 ha sequestrato il figlio del pentito Santino di Matteo. Il carceriere ha tenuto prigioniero per due mesi il bambino, che ha subito diversi spostamenti prima di essere sciolto brutalmente nell’acido. Cataldo lo uccise per punire il padre, diventato collaboratore di giustizia. La tragedia è stata raccontata da Giovanni Brusca. Dal 28 aprile Castaldo è tra i detenuti liberati in seguito al decreto sul Covid-19 e beneficia di una libertà non prevista.