Il “No” del Primo Ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte, fa tornare a galla l’antica questione delle facilitazioni fiscali concesse al Paese dall’Europa in tema di tassazione e liquidità. L’Olanda è attualmente un transito per i paradisi fiscali e l’UE ne deve tener conto.
In attesa del confronto che attende il premier Conte fra qualche in Olanda c’è stata profonda soddisfazione per l’esito del vertice europeo di qualche giorno fa, che ha sancito l’appoggio dell’Italia, della Spagna e della Francia al Mes, ma il respingimento degli Eurobond. Il quotidiano olandese De Telegraaf, riporta Ansa, titolava trionfante: “I Paesi Bassi vincono la battaglia europea”. Un risultato che ha fatto gioire i Paesi del Nord Europa, con l’UE che rischia di alimentare le già grandi differenze che persistono all’interno del gruppo dei 27 membri.
Il rigore olandese non ha fatto altro che alimentare la discussione sullo stato di salute dell’economia dei Passi Bassi, che da qualche anno si alimenta di un sistema fondato bassa fiscalizzazione alla multinazionali e di pratiche, più o meno limpide, nei mercati finanziari. Come spiega Il Sole 24 Ore, la doppia morale degli olandesi, flessibili in patria e rigorosi all’estero, è un nervo scoperto in UE. Ma per capire il segreto che si cela dietro l’enorme liquidità dei Passi Bassi, bisogna aprire un certo discorso. L’anno scorso il debito pubblico olandese è sceso del 48,6% del Pil e il Paese ha chiuso con un surplus di oltre 14,1 miliardi di euro. Negli ultimi anni l’avanzo di bilancio ha raggiunto la cifra di 34 miliardi di euro.
Per capire meglio queste cifre bisogna partire dalla piazza Prins Bernhardplein, dove al numero 200 si trova il palazzo della Intertrust, una multinazionale specializzata nella consulenza alle società, a cui fornisce assistenza legale, manageriale, di gestione, e anche servizi fiduciari. Intertrust fornisce un domicilio a migliaia di società che in Olanda non hanno dipendenti e a volte neppure una vera attività ma scelgono di venire qui per ragioni fiscali. Sono delle semplici domiciliazioni. Secondo il Ministero delle Finanze, guidato proprio dal rigidissimo Wopke Hoekstra esistono quasi 15mila società “bucalettere”, ovvero che hanno soltanto una casetta della posta a testimoniarne l’esistenza in un dato edificio. A queste vanno aggiunte 25mila multinazionali, che alimentano un business miliardario coperto da una tassazione tra le più basse dei Paesi sviluppati.
Ed è questo il grande problema di Hoekstra, spiega Famiglia Cristiana. L’accettazione degli Eurobond, significherebbe il primo grande passo verso una comune politica del Welfare e, di conseguenza anche delle politiche fiscali. La condivisione del debito passa attraverso un processo di comune politiche finanziarie. Anche il Parlamento Europeo vuole vederci chiaro, chiedendo ufficialmente alla Commissione UE di indagare sulle politiche di dumping fiscale attuate nei Paesi Bassi, ma anche in Irlanda, Cipro, Malta e Lussemburgo.
Secondo Il Giornale, sono molti i marchi che approfittano della compiacenza fiscale del Tesoro olandese. Dai grandi brand dell’informatica, come Google o Ibm, sino alle aziende automobilistiche, come l’ex Fiat, ora FCA. Sono società globali che dirottano gli incassi europei nei Paesi Bassi e li trasferiscono nei paradisi fiscali. Come ha spiegato il prestigioso studio “Tax Justice Network” l’Olanda sottrae agli altri Stati dell’Unione Europea circa 10 miliardi di dollari all’anno di imposte. Per il nostro Paese il danno è quantificato in 1 miliardo e 370 milioni di euro, per la Francia perdite per quasi 2 miliardi e mezzo, mentre la Germania e la Spagna scontano ammanchi di 1 miliardo. Sono soldi che farebbe molto comodo in questa emergenza. Basti pensare che equivalgono ai costi biennali di un ospedale come il San Raffaele di Milano. E superano, nel totale, di quasi due miliardi il contributo versato dall’Olanda all’UE, mentre sono più del doppio dei 4 miliardi e mezzo con cui Amsterdam contribuisce al Mes, che pretende di controllore.
L’Olanda, rispondendo alle accuse, ha sempre sostenuto che soltanto una minima parte di questi soldi – più o meno 199 miliardi, a fronte di oltre 4.500 – restano nel Paese. Ma sono cifre che consentono una limitazione della spesa pubblica e permettono una più snella chiusura di bilanci. Sono tantissime le multinazionali che hanno spostato le loro filiali principali nel Paese. Nel 2019 la Banca centrale dei Paesi Bassi ha registrato un ingresso di capitali investiti per 4.554 miliardi di euro e un’uscita (gli investimenti di società domiciliate in Olanda verso altri paesi) per 5.561 miliardi.
L’Ufficio per le Analisi di Politica Economica del Ministero degli Affari Economici dei Passi Bassi, ha rivelato che in realtà l’Olanda è il luogo di transito da e verso i cosiddetti paradisi fiscali, grazie alla grande quantità di accordi firmati contro la doppia imposizione fiscale. Scrivono gli autori dello studio Arjan Lejour, Jan Mohlmann e Maarten Van Riet: “I Paesi Bassi non hanno imposto finora una ritenuta d’acconto sulle royalties e questo ha fatto di loro un paese di transito molto attrattivo. Il 60% delle royalties che passa attraverso i Paesi Bassi va direttamente nel paradiso fiscale delle Bermuda”. Ai capitali provenienti dai paradisi fiscali, dunque, viene offerta maggiore copertura, prima di riapprodare in altri siti, e nascondersi. Il rapporto cita alcuni di questi Stati: “Cayman, Singapore, Emirati Arabi, Porto Rico”. In più i docenti della Leiden Law School dell’Aia, ha parlato dell’Olanda come di un Paese: “Divenuto a tutti gli effetti un paradiso fiscale per le multinazionali”. Uno smacco per l’Europa, insomma, mentre i Paesi Bassi puntano i piedi sull’Eurobond.
Ma la situazione potrebbe cambiare: il 1 gennaio del 2021 entrerà in vigore la ritenuta alla fonte condizionale su interessi e royalties, fissata al 20,5%. Intanto rimane la crisi devastante e la richiesta di aiuto dell’Italia. E qualcosa ci dice che domani il premier Mark Rutte non abbia alcuna voglia di vestire i panni del Buon Samaritano.
Fonte: Ansa, Il Sole 24 Ore