La patente d’immunità è una delle soluzioni ipotizzate per tornare alla normalità, in quanto certifica lo stato immunitario di una persona. Ma al riguardo, gli esperti si dicono scettici.
Si sta diffondendo negli ultimi tempi l’idea della “Patente d’Immunità”, ovvero un certificato che dovrebbe stabilire le nostre condizioni immunitarie per rassicurare noi stessi ma anche a chi ci sta intorno sulle nostre condizioni di salute. L’immunità si registra grazie a una risposta del nostro corpo, che ci rende “protetti” per un arco di tempo che può essere per tutta la vita ma anche solo un periodo di tempo più breve, riporta Repubblica. Nel momento in cui veniamo a contatto con il virus – in questo caso il Covid-19 che impiega circa tre giorni a stabilirsi nel nostro organismo – questo comincia ad attaccare il nostro organismo, portando alla manifestazione dei sintomi intorno al settimo e quattordicesimo giorno. E’ proprio questo il momento in cui si può verificare una risposta immunitaria che attiva le immunoglobuline M – anticorpi Igm – che si attaccano al virus e ne sconfiggono l’antigene. Nel sangue compaiono le IgM, anticorpi nati appositamente per la presenza del virus e che rivelano la presente del virus come “pregresso“. Ciò su cui si basa, pertanto, la “Patente d’Immunità” è l’identificazione di questi IgM nel nostro organismo, che possano attestare il nostro essere stati contagiati e, successivamente, l’ aver elaborato l’immunità.
Molte voci però si sono levate contro la certezza di questi esami e dei loro risultati, sia per l’attendibilità del Test sierologici che per la durata effettività dell’immunità. Il primo ad esprimersi sul concetto di Immunità e sulla sua durata è stato l’infettivologo Di Perri – riporta il Quotidiano – che ha invitato a non abbassare la guardia. “Noi non abbiamo certezze che chi guarisce dal Covid -19 ne sia poi immune. Nel breve periodo certamente sì, ma di più non sappiamo“, dice l’esperto. L’immunità di gregge di cui tanti parlano – tra cui Gran Bretagna e Olanda – non è una certezza ma, nel caso del Coronavirus, solo un’ipotesi.
Ad esprimersi sulla questione e in particolare sull’attendibilità dei test sierologici per individuare la presenza di IgM è anche Andrea Crisanti, epidemiologo dell’Università di Padova, che dice: “Non hanno valore per la diagnosi e non dovrebbero essere utilizzati se non per le analisi epidemiologiche sulla popolazione”. In un’intervista su un podcast di La 7, infatti, l’esperto ha espresso la sua opinione dichiarandoli non attendibili: “E’ irresponsabile dedurre l’immunità sulla base di test non validati”, ha affermato. L’utilità dei test, quindi, sarebbe solo di natura epidemiologica, in quanto permetterebbero soltanto di capire la percentuale di persone che è venuta a contatto con il virus, ma non di stabilire la reale immunità dell’individuo.
Come riporta sempre Repubblica, una spiegazione esaustiva la fornisce il professor Carlo Federico Perno, ordinario di Microbiologia e Virologia al Niguarda di Milano. “Per non reinfettarsi infatti non servono gli anticorpi tout court, ma quelli neutralizzanti in grado di rendere immune una persona dal virus”, afferma l’esperto. Tutti i virus, ribadisce, innescano il meccanismo di difesa grazie agli anticorpi: alcuni sono neutralizzanti, altri no. Ecco perché per avere patente immunità non solo è necessario essere non infetto e non infettante, ma anche possedere gli anticorpi neutralizzanti, i quali non sono individuabili dai test sierologici. Inoltre, sottolinea l’esperto, i test sono soggetti a grande invalidazione: hanno, infatti, scarsa sensibilità, determinando molte volte dei falsi negativi.
Coronavirus recidivo?
Il virus continua ad essere, tutt’oggi, avvolto da un alone di mistero e tanti sono gli interrogativi e i dibattiti mossi dagli esperti. Tra le questioni più affrontare vi è la possibilità di potersi ammalare nuovamente di Coronavirus.
Ad esprimersi, negli ultimi giorni, sulla questione è stato Roberto Burioni ospite al programma di Rai 2 “Che Tempo che fa”, come cita anche il Messaggero:
“Posto che ancora non sappiamo se ci si può reinfettare” afferma, “finora tutte le infezioni virali respiratorie forniscono un certo grado di protezione. Questo virus ovviamente potrebbe essere il primo a non fornirla, ma sarebbe una notevole eccezione”. Tutto, dice, dipende dalla prontezza del nostro organismo e dalla memoria che riesce a instaurare nei confronti del virus.
In risposta alle sue parole, arrivano le dichiarazione dell’Onu, smentiscono qualsiasi possibile speranza e illusione: “Non c’è al momento evidenza che le persone che sono guarite da Covid-19 ed hanno anticorpi sono protette da una seconda infezione”
Simona Contaldi
Fonte: Repubblica, Quotidiano, la 7, Messaggero