In una situazione di caos e panico generale, gli universitari sembrano essere i grandi dimenticati di questo Coronavirus. Diciamolo. Il Governo ha pensato bene o male un po’ a tutti. Tranne, a quanto pare, a coloro che vogliono prendere una laurea.
Fanno come se non ci fossero, e invece ci sono. Ci sono gli universitari; ci sono gli studenti fuori sede; ci sono gli studenti e basta. Quelli che sembrano essere stati dimenticati dal sistema, quelli che sembrano non esistere agli occhi di chi, stabilendo cosa sia giusto e fare cosa no, prendendo in mano le redini di una situazione complicata e difficile da gestire, ha deciso di guardare a problemi apparentemente più gravi, trascurando quelli minori. E se è vero che il crollo del sistema sanitario era in primis una situazione da arginare, e se è anche vero che il collasso del sistema economico lo era ugualmente, è anche altrettanto vero che il sistema scolastico nel suo insieme abbia pagato il prezzo di scelte sbagliate. Nonostante il Ministero dell’Istruzione si sia sdoppiato in due aree, l’unica attenzione in questi giorni di caos e confusione sembra essere stata rivolta dal Ministro Lucia Azzolina ad esami di stato, licei ed elementari. Cosa che, tra l’altro, era nel suo compito fare. Di Gaetano Manfredi, Ministro della Ricerca e dell’Università, non c’è stata per giorni neanche l’ombra.
Qualche indicazione più precisa, rispetto ad ipotesi e probabili scenari futuri che non hanno valenza, è arrivata qualche giorno fa in una bozza di un documento mandata alla Conferenza dei Rettori, al Consiglio Universitario Nazionale e al Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari. Manfredi, scrive Il Sole 24 Ore, ha previsto una riapertura degli atenei in due fasi: la prima da maggio fino ad agosto; la seconda da settembre fino a gennaio 2021. Tra metà giugno e gli inizi di luglio, alcuni esami e le sedute di laurea potrebbero tornare a svolgersi in presenza. L’ex rettore della Federico II di Napoli, tuttavia, immagina di andare avanti fino a gennaio 2021 con i corsi online. Anche, dice, per tutelare gli stranieri e i fuori-sede che avessero difficoltà a spostarsi.
A farla da padrone sarà dunque la didattica a distanza, che ha permesso di limitare i danni senza troppi sacrifici, dicono. E invece, anche se gli studenti universitari sono quelli che hanno pagato il prezzo minore, il danno c’è stato ed anche grande. Una necessità che offre molte occasioni, ma anche tanti pericoli. Dover studiare in una desolante solitudine, rinunciando alla bellezza dell’interazione, non aggiunge, ma toglie. Toglie opportunità, toglie la possibilità di un confronto diretto, vis à vis, faccia a faccia. Un rapporto che oggi viene mediato dall’uso della tecnologia, certamente l’unico possibile. E certamente, in tempo di guerra l’adattamento è necessario. Ma il fatto che ci sia sia adattati, non vuol dire che il danno non abbia toccato anche quelli che apparentemente sono corsi ai ripari senza troppi scombussolamenti.
Entrare nella piattaforma, cliccare su un link, mettersi davanti ad un computer dotato di videocamera non è paragonabile a ciò che si vive in un’aula universitaria, o scolastica. Certo, meglio di niente. Ma anche un non esperto in materia sarebbe in grado di capire come questo sia quanto più distante esiste dai presupposti dell’educazione e dell’insegnamento. Così come lo smart working, tanti sono i vantaggi quanto gli svantaggi. La scuola rischia di diventare un luogo di scambio per i compiti da fare a casa, mentre l’università a distanza come un comodo divano su cui potersi distendere per prendere appunti, se serve. Ma il problema, in fondo, non sembra essere neanche questo. Le università, per eccellenza, sono luoghi di assembramento, condizione da evitare il più possibile così da prevenire una recidiva.
Il problema, piuttosto, sembra essere la confusione, la mancata considerazione di una categoria passata agli occhi di tutti come privilegiata. Quando invece subisce danni come altri. La didattica a distanza non è scontata: entrare in aula e seguire, o connettersi in streaming su meet, sono cose diverse. Inoltre, hanno denunciato alcuni studenti, di non aver avuto alcuna agevolazione sui programmi, rimasti nella maggior parte dei casi invariati. Nessuna agevolazione neanche sulle date d’appello, rimaste invariate. A questo si aggiunge lo scetticismo dei professori, secondo cui gli alunni potrebbero trarre vantaggio nel sostenere esami online, aumentando ancor di più la diffidenza e il sospetto, oltre che la distanza tra alunno e professore. L’esame, che dovrebbe essere un momento di condivisione, diventa un momento di caccia al nemico. Sbagliato.
Ma voci di protesta si sono alzate anche a causa degli strumenti. Gli studenti utilizzano i propri computer, le loro connessioni, i propri strumenti. Ma chi non li ha? Chi non può permettersi una connessione Internet? Problemi anche per i libri, diventati irreperibili. E la questione diventa ancor più grande nel caso dei fuori-sede: affitti pagati a vuoto da parte di chi ha fatto ritorno presso il proprio domicilio; affitti pagati senza senso da chi, d’altro canto, è stato costretto a rimanere nelle case in affitto pur non essendocene motivo. E se della situazione non possono farsi carico i proprietari, scrive Repubblica, gli studenti lamentano piuttosto l’essere stati abbandonati a se stessi. Bonus baby sitter, bonus per Partite Iva, ma neanche un euro per chi vive ogni giorno disagi, come molti altri. “Le tasse”, fanno notare gli studenti, “però dobbiamo pagarle lo stesso”. Concludendo: la didattica online è realmente possibile per tutti? E se non lo è, cosa poteva essere fatto e non è stato fatto per creare le condizioni affinché l’avesse potuto essere? Ai posteri… l’ardua sentenza.
Chiara Feleppa
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