Secondo la Henry Jackson Society, la Cina avrebbe indotto in errore il resto del mondo nella gestione del Covid.19. Un errore che potrebbe costare caro. Circa 3,6 trilioni di euro.
La Cina sembrava lontana, lontanissima; e invece, da qualche mese, non solo è diventata vicina, ma sembra anche essere l’unico riferimento a cui poter guardare per capire come gestire o affrontare quella che è stata definita da molti come il più grande shock di questo secolo. Da quando è scoppiata l’epidemia da Coronavirus, a Whuan – quasi certamente a causa dei mercati umidi – la Cina è finita sotto gli occhi di un mondo intero. Qualche settimana fa, per capire cosa era accaduto tra le bancarelle di pipistrelli vivi che avrebbero trasmesso il Covid-19; più recentemente, per capire se il lockdown – per primo imposto dalla Cina – potesse funzionare per debellare l’epidemia. Di fatto, comunque, ogni giorno si levano le voci di quanti nel mondo chiedono giustizia. O, almeno, chiedono di conoscere cause e responsabilità di ciò che stiamo vivendo ormai da settimane.
Secondo la Cnn, informa Tgcom24, alcuni dirigenti dell’intelligence della sicurezza nazionale americana avrebbero aperto un fascicolo sull’origine della malattia. Ci sarebbe la possibilità che, più che in un mercato, sia nato in un laboratorio di Wuhan e che si sia diffuso a causa di un incidente. Una notizia riportata anche da Fox News, secondo cui l’origine laboratoriale del virus sarebbe quasi certa. Stessa cosa aveva riferito il Washington Post, ricordando che due anni prima che scoppiasse la pandemia alcuni diplomatici dell’ambasciata americana a Pechino visitarono diverse volte l’istituto di virologia di Wuhan (Wiv) criticando le inadeguate condizioni di sicurezza del laboratorio, che intanto conduceva rischiose ricerche sui pipistrelli.
Notizie che non possono essere confermate. Non ora. L’origine del virus rimane incerta, ma i ritardi nella gestione dell’emergenza, purtroppo, non lo sono. Anzi, è chiarissimo come la Cina abbia lanciato in ritardo l’allarme – un po’ come fatto dall’Oms – provocando danni inestimabili e causando la diffusione inarrestabile del virus nel resto del mondo. Mondo che sta pagando: non soltanto a livello economico, ma anche a livello umano. E se è vero che oggi la priorità è salvare vite umane, è anche vero che nasce il bisogno di risposte. E dovrà rispondere delle sue scelte Giuseppe Conte, probabilmente. Dovrà rispondere il Presidente Donald Trump. Dovrà rispondere il britannico Johnson. Dovranno insomma rispondere coloro che gestiscono l’emergenza, coloro che hanno tra le mani le redini, coloro che guidano la barca del proprio paese cercando di non farla affondare.
E dovrà rispondere delle sue azioni anche Xi Jinping. Secondo un report della londinese Henry Jackson Society, il governo cinese non avrebbe avvertito tempestivamente gli altri Paesi sui rischi dell’epidemia partita da Wuhan e, inoltre, avrebbe omesso di comunicare i numeri reali del contagio. Errori gravi e di non poco conto, per coprire i quali la Cina avrebbe mandato aiuti all’Italia, la più colpita dall’emergenza fino a poco tempo fa. L’operato del governo non solo potrebbe essere rimesso totalmente in discussione, ma potrebbe costare caro. Circa 3,6 trilioni di euro. Sarebbe questa la cifra che i governi del resto del mondo potrebbero richiedere, avviando un’azione legale contro la Cina e richiedendo quindi un maxi-risarcimento danni.
Il think tank londinese ha consigliato a Boris Johnson di presentare ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia in quanto soltanto la Gran Bretagna, secondo i calcoli, potrebbe chiedere un risarcimento di almeno 350 miliardi di sterline. Secondo la stampa britannica il documento, dal titolo “Compensazione del coronavirus: valutazione della potenziale colpevolezza della Cina e delle vie di risposta legale”, avrebbe già ottenuto il sostegno di 15 deputati conservatori che mettono sotto accusa i vertici del Partito Comunista cinese. Secondo lo studio della HJS – informa Huffington Post – Pechino avrebbe violato gli articoli 6 e 7 dell’International Health Regulation, il regolamento in materia di sanità internazionale adottato globalmente nel 2005. La scelta di nascondere i dati reali del contagio tra il 2 e l’11 gennaio, aggiunta a quella di non comunicare che si trattava di un virus nuovo trasmissibile da uomo a uomo, hanno infatti impedito di prevenire il contagio su larga scala.
Infatti, fanno notare gli studiosi, applicando le necessarie misure restrittive 3 settimane prima di quanto si è fatto, si sarebbero potuti evitare il 95% dei contagi. Quelle stesse 3 settimane intercorse, in Italia, dalla notizia del primo contagiato di Codogno al decreto in cui il nostro Paese si trasformava in un carcere a libertà condizionata. Gli Stati del G7, invece, potrebbero chiedere 3.200 miliardi alla Cina per “danni da coronavirus”, mentre in America si preparano azioni legali da non meno conto. Nel gioco di accuse finisce anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità – a cui non a caso Trump ha tagliato i fondi – accusata di aver minimizzato la reale portata del virus, inducendo a una sottovalutazione iniziale dell’emergenza e, quindi, a una propagazione del virus.
Secondo un sondaggio condotto online tra il 3 e il 5 aprile scorsi dalla Società di ricerche di mercato Harris Pool, con sede a Chicago, la politica anti-cinese di Trump avrebbe sempre più consensi. Quasi il 90 percento dei repubblicani ritiene che la Cina sia responsabile della sua diffusione, e ben due terzi dei democratici intervistati hanno affermato lo stesso. Più della metà degli americani ritiene inoltre che Pechino dovrebbe pagare qualche forma di riparazione ad altri paesi. Non va meglio all’Oms, definito qualche tempo fa dal Wall Street Journal – ricorda Agi – “World Health Coronavirus Disinformation”. Cioè, Organizzazione Mondiale della Sanità per la disinformazione sul Coronavirus. E mentre la pandemia rafforza e incalza la politica cinese di Trump, il repubblicano Lance Gooden, rappresentante dello Stato del Texas, è pronto a fare causa alla Cina qualora venisse dimostrato che il Paese ha “fabbricato” il virus. Insomma, le accuse di complottismo non sono lontane e circolano più o meno nella testa di molti.
Di stessa opinione, la Florida che ha avviato una causa legale per “far pagare la Cina per quello che ha fatto con la cattiva della crisi del coronavirus”. Lo studio legale Berman Law Group, specializzato in risarcimenti per lesioni personali attraverso class-action, con sede a Boca Raton, ha infatti annunciato di stare intentando causa alla Cina e a varie agenzie governative cinesi per conto di “persone fisiche e imprenditori negli Stati Uniti e nello Stato della Florida, per i danni subiti a seguito della pandemia di Coronavirus”. La notizia, riportata su Abc news, è ovviamente circolata andando ad avallare la tesi di quanti sostengono, neanche troppo velatamente, che una responsabilità vada certamente trovata e che, certamente, risieda proprio dove ha avuto origine il tutto. In pratica, la Cina è stata la causa agendo negligentemente nella gestione dell’epidemia, mettendo la testa nella sabbia per cercare di coprire il contagio al fine di tutelare i propri interessi economici. Noi, invece, siamo la conseguenza.
Di certo, da ora in avanti, la superpotenza mondiale dovrà guardarsi bene. L’economia cinese, motore dell’Asia e anche di buona parte del mondo, potrebbe subire perdite a causa del Covid-19. Non soltanto, chiaramente, per le conseguenze strutturali del lockdown. Quanto, piuttosto, per il pregiudizio. Per la reputazione sociale. Per il gioco e la concatenazione di accuse, cause ed eventi che portano la Cina ad un tracollo ideologico senza precedenti. La potenza di fuoco potrebbe insomma spegnersi. E diventare una piccola fiammella.
Chiara Feleppa
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