Uno studio che arriva dalla Gran Bretagna, che riprende anche le rilevazioni fatte negli altri Paesi colpiti dal virus, elenca gli organi più esposti all’infezione. Non solo crisi respiratorie: il Coronavirus riesce ad infiltrarsi in altre aree del corpo.
Continuano gli studi sul Coronavirus, che causa l’infezione da Covid-19, per giungere al più presto ad un vaccino e, nel frattempo, a cure efficaci. Uno studio elaborato da circa 80 medici britannici, e pubblicato dal “Financial Times”, che ha preso in considerazione anche i dati e gli approcci medici di colleghi che per primi hanno avuto a che fare con il virus, Cina e Italia su tutti, ha concluso che l’infezione, pur essendo concentrata nell’apparato respiratorio inferiore, pur trasferirsi in altri organi vitali, danneggiandoli gravemente. Nelle prime settimane del virus a Wuhan, i medici cinesi parlavano già di attacco multiorgano del virus allora sconosciuto. Il virus, attraverso il recettore Ace2, raggiunge cuore, intestino e reni. Ma sono colpiti anche pancreas, fegato e in maniera minore il cervello. Ciò è dovuto, in alcuni casi, alle terapie molto aggressive necessarie nei casi più gravi dell’infezione.
Come spiega Il Corriere della Sera, i medici britannici hanno rivelato che su 690 pazienti ricoverati in terapia intensiva nel Regno Unito, il 25% ha avuto bisogno di un supporto cardiovascolare avanzato; il 18,5% ha richiesto dialisi; il 4,5% supporto neurologico. Spiegano i camici bianchi: “Le carenze di cui siamo preoccupati vanno ben oltre la mancanza di ventilatori o disposizioni di protezione. A Londra si stanno esaurendo le attrezzature vitali per le terapie intensive comprese le macchine per la dialisi”.
Compton-Phillips, responsabile clinico del sistema sanitario di Providence che ha seguito il primo caso di Coronavirus negli Stati Uniti, in un’intervista rilasciata al New York Times, ha parlato dei problemi causati allo stomaco, raggiunto dal virus tramite i vasi sanguigni: “Non necessariamente il coronavirus colpisce solo il polmone. L’infezione può diffondersi attraverso le mucose, dal naso fino al retto”. Il virus sarebbe dunque in grado di infettare cellule del sistema gastrointestinale, che può tramutarsi in disturbi come diarrea o indigestione. Il Coronavirus è stato rilevato, in pazienti infetti, anche nelle feci, anche se non si conosce il tasso di infettività. Su un campione molto ampio, prendendo in considerazione i dati forniti all’Organizzazione Mondiale della Sanità dagli Stati che stanno affrontando la pandemia, sintomi come diarrea e dolori addominali sono stati da ogni modo rari.
Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università delle Scienze di Wuhan, in collaborazione con l’Istituto di Virologia di Essen, in Germania, pubblicato il 14 marzo sulla rivista “Liver International” e ripreso dal quotidiano francese “Le Figaro“, sostiene che i danni al fegato possono essere causati sia dall’infezione Sars-Cov2 sia da alcuni farmaci utilizzati nelle cure per i casi più gravi. In genere i medici hanno rilevato danni epatici, in casi di Sars, Mers e Covid-19, di norma considerati lievi. Ma ci sono casi in cui tali danni si manifestano con molta più incisività fino a raggiungere, alcuni cosi, a insufficienza epatica. L’aumento degli enzimi epatici è possibile nei pazienti infetti: attraverso il flusso sanguigno il virus raggiunge anche il fegato.
Una ricerca già avviata Cina ha dimostrato come il virus attacchi anche i reni, e nel 27% dei casi più gravi riesca a sviluppare un’insufficienza renale acuta, specie nelle persone anziane e nei pazienti già affetti da altre patologie come ipertensione atriale e insufficienza cardiaca. Dal momento che i reni filtrano continuamente il sangue, le cellule tubulari, intrappolando il virus, causano un danno transitorio o lieve, nella maggioranza dei casi. Ma, in percentuale minore, può penetrare nelle cellule e iniziare a replicarsi nei reni, con gravi rischi per gli organismi. Anche in questi casi degli studi stanno approfondendo il tema.
Ancora, la rivista medica statunitense “Jama Cardiology”, ha pubblicato uno studio condotto dal Professore Zhibing Lu presso l’Ospedale Zhongnan dell’Università di Wuhan, dove si sostene che il 20% dei pazienti ricoverati, nella città prima focolaio al mondo, ha sofferto di problemi cardiaci durante l’infezione. Oltre all’infarto del miocardio, sono stati annoverati dolori al torace per la pericardite, ovvero l’infiammazione del rivestimento del cuore, e la miocadite, l’infiammazione dei muscolo cardiaco. Il rischio di decesso per questi pazienti è quattro volte maggiore rispetto a chi non ha complicazioni cardiache. Ad insospettire i medici cinesi, gli alti livelli di troponina nei pazienti, segni di un danno subito dai muscoli cardiaci. Non si esclude che la miocardite sia una reazione della risposta immunitaria del corpo al virus.
Altro organo vitale che viene attaccato, non direttamente, dal virus è il pancreas. Ciò avviene in particolare nei pazienti diabetici. Ma il Coronavirus potrebbe causare anche problemi neurologici, come ictus o convulsioni. Per questo, all’Ospedale Civile di Brescia è stato aperto un centro Neuro-Covid, che ospita al momento 60 pazienti. Negli Stati Uniti sono stati diagnosticati casi di encefalopatia acuta, una complicazione molto grave del sistema nervoso. In questi pazienti si verificano disturbi mentali, crisi epilettiche o forti mal di testa. Come aggiunge Il Giornale, secondo i medici britannici, alcuni pazienti, che hanno subito complicazioni gravi a causa del Covid-19, pur guarendo dal virus, non riusciranno a riprendersi, riportando danni anche permanenti, soprattutto per ciò che concerne i polmoni e l’apparato respiratorio.
Spiega Onjen Gajic, specialista di terapia intensiva presso il Dipartimento di Medicina Polmonare della Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota: “Un gran numero di sopravvissuti alla sindrome da distress respiratoria acuta non sarà in grado di tornare al lavoro”. Ciò era stato già constatato da alcuni ricercatori di Hong Kong, dove alcuni pazienti, dopo le dimissioni dall’ospedale, non hanno ripreso la completa funzionalità polmonare. Per molti pazienti, il ritorno a casa, significa iniziare riabilitazione e terapie di supporto.
Fonte: Il Corriere della Sera, Il Giornale, Le Figaro, NYT
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