Rezza: “I contagi sono alti, ma 6 milioni di infetti è una stima improbabile”

Secondo Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, l’ipotesi secondo cui entro il sedici maggio i contagi saranno a zero è improbabile. L’infettivologo è scettico anche su uno studio dell’Imperial College di Londra, secondo cui il 10% della popolazione sarebbe infetta.

Rezza studio Imperial College - Leggilo

“Entro il sedici maggio i contagi saranno a zero”. E’ la speranza di tutti, oltre che la tesi affermata da uno studio condotto dal alcuni ricercatori dell’Einaudi Institute for Economics and Finance (Eief), secondo cui i contagi potrebbero azzerarsi i fra il 5 e il 16 maggio. Ma alcune regioni potrebbero raggiungere il risultato già nella prima metà di Aprile. “Mi sembra troppo ottimistico”, ha affermato Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità. Ai microfoni dei, “Lunatici” su Rai Radio 2, l’infettivologo ha affermato che questa ipotesi è il risultato di un modello che non tiene conto del fatto che il virus potrebbe continuare a circolare nei nostri paesi, con focolai epidemici che scoppierebbero di volta in volta. “Sarebbe bello arrivare a casi zero, ma non credo che questo sia uno scenario plausibile”, ha concluso.

Secondo Rezza, la causa della letalità maggiore in Italia e in Lombardia nello specifico, risiede nel fatto che abbiamo una popolazione molto anziana con tante patologie di base. Inoltre, essendo il sistema sanitario al collasso, non tutti possono andare in ospedale in tempi rapidi e questo può comportare un ulteriore aumento del tasso di letalità. Di conseguenza, l’infettivologo esclude il fattore inquinamento atmosferico come causa dell’aumento della letalità del virus.

“5,9 milioni di casi in Italia”

Rezza si è detto anche scettico su uno studio dell’Imperial College di Londra secondo cui in Italia il 9,8 per cento della popolazione avrebbe già contratto il Coronavirus. Ci sarebbero cioè circa 5,9 milioni di casi, una stima che l’Istituto superiore di Sanita giudica improbabile. Il team di esperti inglesi ha utilizzato i dati in tempo reale del Centro europeo di controllo delle malattie (Ecdc) sul numero di decessi in 11 Paesi. Secondo la ricerca, le misure di contenimento attivate nei Paesi considerati avrebbero evitato fino a 120.000 morti. “I Governi hanno preso provvedimenti significativi che hanno iniziato a funzionare e hanno appiattito la curva. Riteniamo che molte vite siano state salvate”, ha affermato Samir Bhatt, docente senior della School of Public Health dell’Imperial College.

Il report stima che tra il 7 e 43 milioni di persone sarebbero state infettate da Sars-CoV-2 in tutti gli 11 paesi al 28 marzo, cioè tra l’1,88% e l’11,43% della popolazione. Nello specifico, il 2,7% nel Regno Unito; lo 0,41% in Germania; il 3% in Francia; il 9,8% in Italia. Anche se il bilancio delle vittime continua a salire, secondo Seth Flaxman, primo autore dell’ultimo studio, ci sarebbero abbastanza segnali per concludere che le azioni drastiche intraprese dai Governi europei hanno ridotto il numero di nuove infezioni. Ma essendo questi interventi molto recenti, ed essendoci un ritardo notevole tra infezione e decesso, ci vorrà più tempo affinché questi effetti si riflettano sul numero di morti che si registrano ogni giorno.

Rezza: “Improbabile”

“Bisogna essere molto cauti nell’approssimare la popolazione italiana già infettata dal virus. Pur stimando i colleghi dell’Imperial College di Londra, ritengo davvero improbabile che in Italia sia stato infettato quasi il 10% della popolazione”, spiega all’AdnKronos Giovanni Rezza. Facendo qualche conto, se abbiamo poco più di 70.000 casi positivi, pur moltiplicandoli per dieci per tenere conto dei casi sfuggiti e degli asintomatici, arriveremmo a 700.000 mila. Quindi, pur essendo alto il numero dei contagi, non si arriverebbe comunque alle stime degli esperti inglesi. “Una cifra molto diversa da quasi 6 milioni”, spiega Rezza. Inoltre bisogna tener conto del fatto che la maggior parte dei casi in Italia si è verificato al Nord, in Lombardia. E se la stima dell’Imperial è una stima nazionale, allora vuol dire che un’elevata parte di popolazione al Nord si sarebbe infettata e che il virus abbia circolato silente nel resto d’Italia.

Impossibile, secondo il direttore: “Come fa ad essersi infettato il 10% della popolazione al Centro-Sud? In tal caso sarei immune anche io”. Le stime partono dai dati delle morti e fanno degli assunti, ma non tengono conto di studi di prevalenza e sierologici, secondo l’infettivologo. Insomma, la realtà italiana di Covid-19 è molto peculiare e differente nelle varie regioni, e occorre tenerne conto. “Anche i modelli possono sbagliare. Pensare che il dieci percento della popolazione italiana si sia già infettata, vorrebbe dire che per il virus la vita diventerebbe più dura”, conclude Rezza, secondo cui solo gli studi di sieroprevalenza ben fatti potrebbero dirci la verità. Diverso il parere di Roberto Burioni, che su Twitter ha condiviso lo studio.

Fonte: Agi, Rai Radio 2, Roberto Burioni Twitter, Imperial College London

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