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Cronaca

L’OMS: “L’Italia poteva chiudere 15 giorni prima, ma ha perso tempo”

Secondo Ranieri Guerra, dell’Oms, al momento dello scoppio epidemico in Cina ci sarebbero stati circa 15 giorni in cui sarebbe stato possibile intervenire con misure di contenimento più drastiche. La tesi è stata confermata anche da Walter Ricciardi. 

Al momento dello scoppio epidemico in Cina, ci sarebbe stata una finestra temporale di circa 15 giorni. Giorni che avrebbero potuti essere sfruttati per intervenire, con misure di prevenzione più estreme, in altri Paesi per prevenire i rischi di contagio. La chiusura, insomma, avrebbe potuto essere anticipata. Lo ha affermato Ranieri Guerra, vicedirettore generale Iniziative strategiche Oms, riporta TGCom24. “Con quei numeri era inevitabile che il contagio arrivasse in Italia e in Europa come è successo. Avrei messo in quarantena la popolazione”, ha aggiunto Guerra. In particolare, a bacchettare Giuseppe Conte sui ritardi nell’adozione delle misure di prevenzione ci ha già pensato il Nyt, che, da oltreoceano, ha fatto notare come il Governo abbia perso tempo prezioso.

Facendo un passo indietro, il 27 gennaio Conte si dice pronto ad affrontare l’epidemia: ha già adottato misure cautelative e anche i protocolli di prevenzione, tra cui il controllo della temperatura agli scali, la creazione di una task force e la sospensione di voli dalla Cina. Pochi giorni dopo, arriva il primo caso di Covid-19 in Italia, i turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani. Su direttiva dell’Oms, il 31 gennaio il Governo dichiara lo stato di emergenza per sei mesi. Venti giorni dopo, il 19 febbraio, il “paziente 1” ha fatto ingresso all’ospedale di Codogno.

Non è un caso che Walter Ricciardi, su Repubblica, ha dichiarato che le misure di contenimento le avrebbe prese dieci giorni prima. Ma l’infettivologo non era al Governo, al Governo c’era Conte. E l’inerzia iniziale – forse per disattenzione, forse per una sottovalutazione degli eventi, forse per evitare allarmismo –  non solo potrebbe aver favorito la diffusione del virus, ma potrebbe anche aver provocato l’incapacità del sistema sanitario di reagire alla pandemia. Ci sarebbe stato, insomma, un chiaro ritardo nell’adozione delle misure di contenimento. Ritardo che, se evitato, avrebbe potuto certo limitare i danni.

Arriviamo al 23 febbraio quando, a crisi ormai avviata, si dispongono le prime zone rosse nel Lodigiano. Due giorni dopo, con un provvedimento, alla Protezione Civile è concesso di acquistare con “priorità assoluta rispetto ad ogni altro ordine” i dispositivi di protezione individuali. 3 giorni dopo, sarà invece permessa l’ “acquisizione degli strumenti e dei dispositivi di ventilazione invasivi e non invasivi“. Ricapitolando, sono passati oltre 20 giorni tra la dichiarazione dello stato di emergenza e le prime disposizioni su medici, mascherine e ventilatori. Nel frattempo, gli ospedali del Nord si avviavano verso il collasso. E quei 20 giorni, di fatto, sono stati giorni persi. Un errore di tempistica che ha giocato male anche alla Cina, i cui stessi errori sono stati ammessi dal governo cinese. A fine dicembre iniziano a circolare le prime notizie sospette, ma la vita continua anche a gennaio, con assemblee e con i festeggiamenti del Capodanno Cinese. La crisi vera e propria viene annunciata solo il 20 gennaio. Il sindaco Zhou dichiara che non poteva fare altrimenti. Spettava a Pechino il compito di poter dichiarare l’emergenza sanitaria, ma lo ha fatto dieci giorni dopo le prime avvisaglie. Quando forse l’epidemia poteva essere ancora arginata.

Fonte: TGCom24, Repubblica

Pubblicato da
Chiara Feleppa

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