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Estera

Coronavirus, le enormi responsabilità della Cina nella diffusione dell’epidemia

In questi giorni in cui Pechino celebra la fine dell’epidemia a Wuhan, e nel giorno in cui l’Italia supera i contagi della Cina, non bisognerebbe dimenticare le responsabilità del Governo cinese che, non intervenendo in tempo, ha trasformato un’epidemia locale in una pandemia globale. 

Sono 86.498 i casi totali di Coronavirus in Italia, con un aumento di 5.959 casi contro i 6.153 di ieri, informa l’AGI. Dopo 5 settimane dall’inizio dell’epidemia nel nostro Paese, è stata superata la Cina anche nel numero dei contagi, fermo a 81.342 casi, secondo le ultime stime della Johns Hopkins University.

Stando ai dati del bollettino quotidiano della Protezione Civile, sono 66.414 gli attualmente positivi (incremento di 4.401 contro i 4.492 di ieri),  mentre i guariti sono complessivamente 10.950 guariti (incremento di 589, ieri erano stati 999). I decessi totali sono 9.134, con un aumento di 969 in un solo giorno, ma su cui pesano i 50 del Piemonte non computati  ieri e inseriti oggi in tabella. La crescita sarebbe quindi di 869 decessi in un solo giorno, in ogni caso un record negativo. Alla data del 27 marzo si contano 26.029 ricoverati, 3.732 in terapia intensiva, 36.653 in isolamento domiciliare.

 

Le colpe del Governo cinese nell’omissione dell’epidemia Covid-19 nella città di Wuhan non posso essere dimenticate. Specie in questi giorni in cui, il regime di Pechino, inonda tv e stampa di immagini e video dell’ultimo paziente affetto dal virus che lascia uno degli ospedali della città. Il Governo di Pechino sta cercando in tutti i modi di riscrivere la storia di questo virus, di nascondere quelli che sono ormai i grandi limiti del sistema politico ed economico che ha scelto di nascondere i primi contagi, e condannare tantissimi suoi cittadini, piuttosto che dare l’allarme e avvertire il mondo interno di quello che stava avvenendo. Le responsabilità della Cina sono molteplici, e fanno risalire i contagi, o quantomeno la data in cui le Autorità sanitarie si sono accorte dell’esistenza di questo nuovo virus ad inizio dicembre, ovvero 2 mesi prima dell’annuncio della quarantena totale di Wuhan. Ma procediamo con ordine.

Come scrive il New York Times, in questo lasso di tempo che intercorre tra il primo allarme dei medici e le misure di contenimento adottate, c’è un abisso, in cui: “Il governo cinese ha perso la migliore occasione per impedire alla malattia di trasformarsi in un’epidemia”. Il 30 dicembre dello scorso anno, Li Wenliang, Oftalmologo di un ospedale di Wuhan, avvisa in chat dove c’erano anche i suoi studenti di Medicina, della presenza di alcune persone in quarantena, per aver contratto un virus molto simile alla SARS. Il giorno seguente, la polizia obbligò il dottore a firmare un documento in cui ritrattava le informazioni scritte. Ma ormai la notizia stava facendo il giro, almeno tra il vario personale medico della città. La polizia ammise che c’erano 27 persone in quarantena, ma che la soluzione era sotto controllo. Questo, a quanto sappiamo, è il primo tentativo di depistaggio delle autorità locali. Il seguito della storia del Dottor Li è tristemente conosciuta: tornò al lavoro, ma si ammalò proprio di Covid-19, e dopo due settimane morì. La sua storia, divenuta famosa in tutto il mondo, ha costretto il Governo cinese ad ammettere che l’allarme del Dottor Li venne inascoltato, scaricando però la responsabilità di tale azione sulla polizia locale.

Ad inizio gennaio i medici notarono che i pazienti che si presentavano all’ospedale con polmoniti che non rispondevano alle solite cure, avevano tutti dei legami con il mercato del pesce di Huanan. Il mercato venne chiuso per diversi giorni e disinfestato. Ma le autorità locali spiegavano che, questo virus, aveva scarse possibilità di contagio tra uomo e uomo. Le persone ammalatesi, si erano infettati dagli animali. Già il 7 gennaio Zheng-Li Shi, una delle scienziate che aveva identificato la provenienza del virus della SARS, isolò la composizione genetica del nuovo virus, a cui diede il nome di “2019-nCoV”. Mentre i medici cinesi informavano l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le autorità cercavano di minimizzare gli eventi: dal 9 al 17 gennaio, cadevano due importanti Congressi dell’Assemblea Popolare Cinese. In questi due eventi, il Sindaco di Wuhan non mai accennato ai casi di contagio nella sua città. Il 20 gennaio, da Pechino viene inviato nella provincia di Hubei Zhong Nanshan, il celebre pneumologo ed epidemiologo, che confermò gli alti numeri di contagi avvenuti in città e la pericolosità del virus. Pochi giorni dopo il Presidente Xi Jinping parlò per la prima volta pubblicamente dell’epidemia, mettendo in quarantena la città di Wuhan. Ma ormai era troppo tardi.

Il regime cinese ha dunque enormi responsabilità e colpe nella gestione dell’epidemia. Il terrore di apparire deboli, di quella che è considerata una delle economie più forti del pianeta, ha prevalso sulla salute dei cittadini. Come spiega Linkiesta, attualmente i dati cinesi sull’epidemia non sono attendibili. Anche l’annunciata fine dei contagi a Wuhan è una notizia che va presa con le pinze. Racconta racconta Marc A. Thiessen del Washington Post: “Oggi siamo nel mezzo di un lockdown da pandemia perché il regime comunista cinese si preoccupava più di sopprimere le informazioni che di sopprimere il virus”. E ancora: “I medici di Wuhan sapevano a dicembre che il coronavirus era in grado di trasmettere da uomo a uomo perché gli operatori sanitari si stavano ammalando”. I dati parziali, le rassicurazioni, non hanno fatto altro che sottostimare il fenomeno anche agli Stati, trovatisi impreparati per l’arrivo del virus.

Sulle responsabilità del Governo di Pechino si è espresso, con estrema durezza, anche il giornalista Federico Rampini, profondo conoscitore della Cina, dove per anni è stato inviato di Repubblica. In un’intervista rilasciata a Myrta Merlino, nel corso del programma “L’Aria che tira”, su La7, Rampini ha spiegato: “Quello della Cina è un paradosso: Pechino ha una responsabilità iniziale enorme e imperdonabile. Questa epidemia non sarebbe mai diventata una pandemia globale se il regime autoritario cinese non avesse mentito”. E continua: “Mentito prima di tutto ai propri cittadini e poi al mondo intero per un mese. Un comportamento criminale. Poi hanno avviato una nuova fase”. Conclude il giornalista: “Restrizioni ai movimenti dei cittadini che sembrano aver funzionato. Con una severità, una rigidità, una durezza, che nessuno in Occidente riesce a replicare”.

Oggi la Cina sta cercando di dare una pulita alla propria immagine. I medici e il materiale protettivo, oltre che le apparecchiature mediche, inviati in tanti Stati del mondo che stanno affrontando l’epidemia, potrebbero sembrare gesti in qualche modo “risarcitori”, ma che nascondono in realtà obiettivi economici precisi. L’economia cinese ha retto all’urto. Vediamo come andranno le cose per l’Europa e gli USA, anche se le prospettive sono devastanti. La Cina vuole approfittare di questo momento, inondando Stati in difficoltà che non possono affrontare l’epidemia, di liquidi e prestiti. Pechino non ha causato soltanto una crisi sanitaria globale, ma anche una crisi economica, che probabilmente supererà per intensità quella del 2008. E, come aggiunge Formiche, proprio il nostro Paese, che con l’accordo dello scorso anno denominato “Via della Seta” tanto voluto dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, non può crogiolarsi nell’assistenza dei cinesi in questa fase, ma piuttosto condannare il Governo di Pechino per aver causato una pandemia globale. Come scrive Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella. “Occorre avere la lucidità di ricordare le modalità con cui la Cina opera in politica estera attraverso un iniziale soft power che presto si traduce in hard power. È questo il caso del progetto della Nuova Via della Seta”. E conclude: “Investimenti miliardari nella direttiva che parte dai porti del Pireo in Grecia, attraversa i Balcani e arriva fino al porto di Trieste”.

 

Fonte: La7, Linkiesta, Formiche

Pubblicato da
Mario Cassese

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