Il Coronavirus in Italia ha agito indisturbato per diverse settimane e ha potuto diffondersi in maniera capillare. E’ il timore, prossimo alla certezza, dell’epidemiologo Pier Luigi Lopalco dell’Università di Pisa.
Resta un ‘rebus’ quello del ‘pazientezero’, ovvero il primo infetto da nuovo coronavirus SarsCoV2 che avrebbe innescato i contagi a catena in Lombardia. In realtà, considerando che focolai sono emersi anche in Veneto e Piemonte, i ‘pazienti zero’ potrebbero essere anche più di uno: “Identificarli – afferma Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene all’Università di Pisa – sarebbe fondamentale, proprio per riuscire a tracciare l’intera linea del contagio”. Anche se, avverte l’esperto, “è verosimile che in Italia siamo già, ormai, alla terza generazione di casi“.
“È presumibile – spiega Lopalco parlando all’Ansa – che il virus abbia cominciato a circolare in Italia verso la fine di gennaio, quando ancora l’allerta non era al massimo ed i voli non erano bloccati: vari soggetti avranno preso l’infezione magari senza accorgersene ed in forma leggera. Dunque, quella che vediamo ora è già la terza generazione di casi“. Ed il professore chiarisce il perchè di queste conclusioni: il numero di positivi, infatti “si raddoppierebbe circa ogni 7 giorni e questo spiegherebbe l’attuale alto numero di casi in Italia, insieme al fatto che si stanno effettuando moltissimi test e questo ha permesso di scoprire molti positivi“. Una considerazione, questa, che il docente aveva già fatto pochi giorni fa, prima delle drammatiche notizie delle ultime ore, parlando a La7: “Quello che è successo in Cina non ha precedenti. Una regione abitata da decine di milioni di persone messe in quarantena. Queste operazioni hanno certamente offerto al resto del mondo un tempo utile per prendere i necessari accorgimenti” disse lasciano il dubbio che il rilievo potesse alludere ad un ritardo nel capire l’emergenza da parte degli altri Paesi. Il docente aggiunse: “è un virus molto contagioso e difficile da contenere, sopratutto nei casi di contatti stretti con persone che hanno il virus. L’unica misura che abbiamo al momento è l’isolamento“.
L’aumento esponenziale dei contagiati deriva dunque da una focalizzazione del campo d’azione e dalla precisione nella diagnosi. Spiega il medico: “abbiamo molti casi perché li abbiamo cercati” e aggiunge: “va detto che il nord-est, dove si concentra la maggioranza dei contagiati, ha forti contatti commerciali con la Cina. Facile pensare al grande flusso da e per la Cina in quelle zone nelle settimane antecedenti l’allarme. La chiusura dei voli,
successiva, ha dunque potuto fare poco rispetto agli eventuali
contagi antecedenti e che si sono manifestati solo
successivamente, nei giorni scorsi”.
Al momento, spiega “la situazione è ormai molto difficile da controllare: abbiamo più focolai nel nord-est non collegabili tra loro e ciò significa che la circolazione del virus è invisibile, perché parte della catena di contagio non è stata individuata proprio perché manca ancora il ‘paziente zero‘”.
Al contrario “l’unico modo per contenere il contagio è individuare i contatti e tenerli in isolamento. Per questo, sarebbe fondamentale scoprire il o i pazienti ‘zero’, perché risalendo all’apice della catena possiamo identificare tutti i rami del contagio, anche i soggetti infetti altrimenti difficili da individuare“. A parte questo rebus, però, un altro timore diventa di ora in ora più concreto: “Ora il rischio è che i contagi si diffondano nelle
grandi città. Uno scenario di questo tipo segnerebbe l’inizio
della fase epidemica vera e propria, che richiede misure mirate.
Si passerebbe in questo caso – afferma – da una fase di
contenimento dell’emergenza ad una di mitigazione, in cui si può
solo mitigare gli effetti, e questo implica che tutte le forze
in campo siano pronte. A partire dagli ospedali, che devono
essere preparati a sostenere una richiesta improvvisa e
massiccia disponendo di attrezzature, personale e di
un’organizzazione efficiente per identificare subito i casi più
gravi“.
Il problema, avverte “è che non credo che tutti gli
ospedali, anche i piccoli, siano preparati a gestire una
emergenza epidemica, ed il fatto che sanitari si siano infettati
negli ospedali lombardi in questi giorni dimostra la
carenza di dispositivi nella protezione personale. Non bastano gli ospedali di eccellenza, tutti devono essere pronti“.
Nell’ipotesi di un aumento di casi, tuttavia, “isolare le
grandi città – spiega – non avrebbe senso: se si identificassero
contagi massicci in una metropoli, presumibilmente tali soggetti
avrebbero già infettato molte persone, molte delle quali si sono
magari già spostate fuori da quei centri. Isolare ha senso solo
se è ancora possibile bloccare la diffusione del virus in quel
perimetro“. Ad ogni modo, conclude Lopalco, “lo scenario delle
grandi città si delineerà a breve, ed i prossimi giorni saranno
cruciali”.
Fonte: Ansa, La7
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