Il Tribunale civile di Roma ha dichiarato illegali i respingimenti in mare. Mentre per la Cassazione la comandante della Sea Watch Carola Rackete ha agito correttamente. Si aprono le porta a nuove politiche migratorie in linea con le guide del nuovo Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese
La Cassazione ha depositato le motivazioni che fondano la decisione di non arrestare Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3 che lo scorso luglio entrò nel porto di Lampedusa violando il divieto emesso dal Viminale. Rackete, inoltre, speronò una motovedetta con a bordo alcuni agenti della Guardia di Finanza. Ma – come riporta RaiNews – la Cassazione afferma che la capitana ha agito correttamente:” L’obbligo di soccorrere i naufraghi in mare comporta anche l’obbligo di assicurare lo sbarco in un porto sicuro. Dunque Carola Rackete ha agito correttamente“. Inoltre – secondo quanto sostenuto dalla Cassazione – la capitana non può essere ritenuta colpevole neanche per aver speronato la motovedetta poiché a bordo non vi era un ufficiale della Marina militare ma un maresciallo della Guardia di Finanza. Pertanto non si trattava di nave da guerra. Contro questa decisione il leader della Lega Matteo Salvini: “Soccorrere dei naufraghi in mare è un dovere per chiunque. Ma speronare una motovedetta con a bordo militari della Guardia di Finanza non può essere considerato legittimo. Altrimenti si crea un precedente pericolosissimo”.
Quanto affermato dalla Cassazione è in linea con quanto stabilito dal Tribunale civile di Roma lo scorso novembre. Infatti il 28 novembre 2019 il Tribunale civile di Roma ha emesso una sentenza storica: sono stati dichiarati illegali i respingimenti in mare. Nello specifico – ha riferito Agensir – il Tribunale faceva riferimento ad un caso avvenuto nel 2009 quando una nave militare italiana intercettò un gommone con a bordo 89 migranti eritrei partiti dalle coste libiche i quali furono tutti riportati in Libia. Si era trattato di una vera e propria svolta: il primo vero respingimento.
A quei tempi – ricorda Il Giornale – il Ministro dell’Interno era Roberto Maroni il quale stava dando un chiaro e fermo segnale: l’Italia non era più disposta ad accettare sbarchi illegali. Roma e Tripoli, all’epoca, concordarono una linea precisa per contrastare l’immigrazione clandestina. E, in effetti, nel biennio 2009 – 2010 gli sbarchi dalla Libia furono quasi azzerati. Ma nel 2016 – sotto il Governo Dem – Asgi (Associazione studi giuridici sull’Immigrazione) e Amnesty International Italia si sollevarono e presentarono ricorso contro quanto avvenuto nel 2009. E nel novembre 2019, a distanza di ben 10 anni, il Tribunale ha dato loro ragione e ha riconosciuto a 14 cittadini eritrei respinti in Libia di entrare in Italia per presentare domanda di protezione internazionale. Il Tribunale Civile ha applicato l’articolo 10 della Costituzione che riconosce allo straniero il diritto di asilo anche quando questi si trovi fuori dal territorio dello Stato per cause a esso non imputabili. I 14 profughi, inoltre, secondo quanto stabilito dai giudici, hanno anche diritto a un risarcimento danni.
La sentenza del Tribunale di Roma arrivava meno di un mese dopo le dichiarazioni del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. La numero uno del Viminale – durante un’intervista al quotidiano Il Foglio – aveva manifestato la volontà di modificare radicalmente gli accordi con la Libia. Infatti il Ministro Lamorgese aveva specificato che i centri di permanenza libici erano luoghi di torture e dovevano essere chiusi. Il Ministro aveva deciso di finanziare le navi Ong per il recupero dei migranti attraverso appositi bandi. Tuttavia, nonostante la linea adottata da Lamorgese, il Governo Conte bis, il 2 febbraio 2020 ha rinnovato il memorandum con la Libia che, salvo cambiamenti, resterà in vigore fino al 2022.
Fonte: Agensir, Il Giornale, Il Foglio