Come anticipato nella mattinata di ieri a conclusione della riunione dello stato maggiore del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio si è dimesso da capo politico. Ora si apre una nuova fase, mentre inizia la battaglia per la successione.
Accuse a chi lo ha attaccato in questi ultimi mesi e nemmeno l’ombra di un autocritica. Dal palco allestito al Tempio di Adriano a Roma, Luigi Di Maio abbandona il ruolo di capo politico del Movimento 5 Stelle togliendosi più di qualche sassolino dalla scarpa. Parla per più di un’ora, oscurando del tutto il reale appuntamento della giornata, ovvero la presentazione dei nuovi 86 “facilitatori” regionali. Gli stessi che, insieme al mandato dato ai Probiviri di valutare le giuste sanzioni per tutti i parlamentari non ancora in regola con le rendicontazioni del 2019, sono l’ultimo atto di un uomo che ha tenuto nelle sue mani il destino di un partito che nelle politiche del marzo 2018 è arrivato al 33%. E ora toccherà a Vito Crimi, in qualità di membro più anziano del Comitato di Garanzia, traghettare il M5S agli Stati Generali di marzo. Ci si aspettava un, doveroso, mea culpa dopo le sconfitte alle ultime elezioni europee e in Umbria. Invece sono arrivati gli attacchi a tutti quelli che hanno criticato il suo operato, la sua non capacità di tenere unito il Movimento e di non delegare. Come scrive Il Fatto Quotidiano, il Ministro degli Esteri ha deciso di fare un lungo elenco delle battaglie portate avanti, in due diversi Governi, da capo politico. Che Di Maio si sentisse accerchiato, o come invece accusano i suo detrattori si fosse isolato, era ben chiaro sin dalla scelta di accettare il patto per la formazione dell’Esecutivo a guida del Premier Giuseppe Conte con Partito Demcoratico, Leu e Italia Viva. Tuona l’ormai ex capo dal palco, tra i mugugni della sala: “Nel M5S traditori, persone che mi hanno pugnalato dai giornali e nemici inaspettati dalle retrovie”. Ma per il Ministro degli Esteri è ancora presto per giudicare il Movimento nella sua opera di Governo: “Stare al Governo richiedere pianificazione e realismo. Alcuni obiettivi non si possono raggiungere, ma abbiamo cercato di portare a casa il miglior risultato possibile. In ogni caso 20 mesi sono pochi per giudicare”. Già, il Governo. Di Maio non nasconde l’insofferenza per un personaggio, quello del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte tirato fuori dal cilindro da lui stesso e Matteo Salvini per condurre il Governo nel 2018, divenuto ormai troppo ingombrante. Spiega l’ex capo politico: “Una persona incredibile. Un cittadino diventato politico, ma con cui non sono sempre andato d’accordo”. La tenuta dell’Esecutivo non è a rischio, anche se gli alleati di Governo sono preoccupati. Tra meno di un mese e mezzo agli Stati Generali ci potrebbe essere il clamoroso ribaltamento. Da una parte, nella più classica delle scalate ai partiti dopo il forfait del capo, ci sono coloro che vorrebbero spingere il Movimento nell’area riformista, come il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli; dall’altra chi vorrebbe il ritorno alle origini, all’antisistema, e soprattutto staccarsi dal Pd, come Alessandro Di Battista. E proprio sull’ex deputato si stanno concentrando i riflettori di queste ore. Di Maio non lo cita mai, ma è chiaro che alcune frecce della sua faretra sono dirette in quella direzione. E lo stesso fa il fondatore Beppe Grillo, che non vuole certo lasciare la sua creatura nelle mani degli ultimi arrivati. Proprio quel Grillo che, a novembre, era volato a Roma, con tanto di video e diretta social, per confermare che Di Maio avrebbe guidato ancora per tanto tempo il Movimento. E Di Battista, partito per l’Iran dove girerà il Paese in cerca di ispirazione per il suo nuovo libro, ha aspettato, e molto, prima di commentare le ultime vicende grilline. Lui, sempre così celere nel giudizio. E, come riporta Adnkronos, si è limitato ad un semplice, quanto gelido: “Grazie di tutto, Luigi”. I due, che per anni hanno rappresentato i veri volti del M5S, usciti dai primissimi meet-up, compagni di mille battaglie grilline, ormai sono ai ferri corti. Ed è probabile che Di Battista se ne stia per un pò nell’ombra, senza farsi invischiare nella probabile doppia debacle elettorale di domenica in Emilia-Romagna e Calabria, che inasprirà ancora di più gli animi delle base, che andrà poi alla ricerca della cura per tutti i malanni del Movimento. Per poter poi riapparire, come salvatore della Patria, agli Stati Generali di marzo. La lotta interna è appena cominciata.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, Adnkronos
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