Il leader della lega Matteo Salvini rischia 15 anni di carcere per il caso Gregoretti. La situazione ricorda da vicino il caso della nave Ong Diciotti. In quella situazione a battersi per l’incarcerazione di Salvini c’era il giudice Paolo Corda il quale lasciò liberi degli scafisti trafficanti di esseri umani in quanto “non lo facevano di professione”.
Dopo l’approvazione del Mes e della manovra di Bilancio, la questione che agita l’Italia in questi ultimi giorni è il caso Gregoretti. La nave della Guardia Costiera che l’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, per 4 giorni, non autorizzò ad entrare nel porto di Lampedusa. E per questa ragione ora il leader della Lega rischia fino a 15 anni di reclusione. Infatti gli ex alleati Cinque Stelle si sono tirati fuori dal caso e, su indicazioni del loro capo Luigi Di Maio, hanno deciso di votare contro l’immunità parlamentare. E il caso Gregoretti torna a far pensare al caso della nave Ong Diciotti. Infatti anche in quella situazione l’ex Ministro dell’Interno tenne fede alle promesse elettorali e non cedette alle richieste della Ong, tenendo i porti chiusi. E, come ora anche allora, ci fu chi voleva processare e condannare Salvini. Il tribunale di Catania, infatti – come riportava Repubblica – respinse la richiesta di archiviazione della Procura e chiese che Matteo Salvini venisse giudicato per sequestro di persona aggravato. L’accusa era di aver privato 177 persone, i migranti a bordo della Diciotti, della loro libertà impedendo loro di sbarcare in un porto sicuro senza giustificazione.
Tra i giudici che accusarono l’allora Ministro dell’Interno – riferiva Il Giornale – ci fu Paolo Corda. Il giudice, che a gennaio 2019 era uno dei più agguerriti nemici di Matteo Salvini, si era già distinto nel 2016 per aver rilasciato 2 scafisti nordafricani rei di traffico di esseri umani. Nonostante i due fossero stati arrestati da Guardia di Finanza e Carabinieri e riconosciuti da altri migranti, il giudice Corda stabilì che per loro era sufficiente una firma bisettimanale presso la caserma dei Carabinieri, ma niente misure cautelari. Il magistrato, in quell’occasione, accolse appieno la tesi della difesa degli scafisti la quale sostenne che i due non svolgevano il ruolo di scafisti in modo abituale ma si erano trovati costretti a farlo a causa dei ricatti di organizzazioni malavitose libiche. Peccato che alcuni migranti li avessero visti prendere accordi con i libici prima di partire senza alcun sentore di minaccia ma, anzi, in modo amichevole. E, come ammesso dalla difesa stessa, i due avessero avuto dai loro presunti ricattatori uno sconto sul “biglietto” per l’Italia in cambio della loro disponibilità a traghettare illegalmente in Italia gli altri migranti.
Fonte: Il Giornale, Repubblica