Pensato negli anni ’80, il sistema di paratoie per proteggere Venezia dall’acqua alta è stato iniziato nel 2003 e avrebbe dovuto essere pronto tre anni fa. La mareggiata del 12 novembre ha riacceso le polemiche sui ritardi legati alle maxi inchieste per corruzione. Gli evidenti problemi tecnici e gli eccessivi costi per il mantenimento della struttura rendono il Mose un buco nero che risucchia soldi pubblici mentre fa acqua da ogni paratoia.
Le 78 paratoie mobili istallate sul fondale delle 3 bocche d’ingresso in laguna non si sono alzate per proteggere la città, lo scorso 12 novembre, e con i danni causati dal livello record raggiunto dall’acqua a metà novembre si sono riaccese le polemiche sui ritardi e i costi. Non si sono sollevate neanche alla vigilia del Natale. Due giorni fa, dall’ex Magistrato alle Acque Cinzia Zincone era venuta la sollecitazione a muovere il Mose: se non tutte le dighe, almeno quelle “pronte”: quelle della bocca di Treporti e della bocca di Lido, queste ultime almeno parzialmente. Un sollevamento parziale che secondo i tecnici avrebbe rallentato l’espansione della marea in Laguna, riducendo di almeno 30 centimetri il picco di acqua alta, scrive il Gazzettino.
Sembra fosse tutto pronto: sarebbe stata la prima prova “sul campo” sebbene, in via precauzionale, si fosse deciso di tenerla “segreta”. In via informale era stato avvisato il Comune, e sembra che l’indiscrezione fosse giunta alla Rai che si stava affettando ad andare in bocca di porto, con una troupe. Ma non si sa in quale sede, né per quale ragione, l’ordine di sollevamento delle paratoie alla fine è stato revocato. Così l’ennesima acqua alta ha sommerso la città. Le sirene in piena notte hanno svegliato Venezia, che è stata inondata nuovamente, alla vigilia di Natale: alle 8.45 si sono toccati i 139 centimetri.
“I rischi sarebbero stati più dei benefici, per questo alla fine abbiamo deciso di non alzare le paratoie del Mose“. Così Cinzia Zincone, provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto – che ha assorbito le funzioni del Magistrato alle Acque – ha risposto al Fatto Quotidiano.
“Nella serata di lunedì è arrivata un’ultima relazione in cui i benefici erano indicati come piuttosto modesti. Potendo innalzare solo la barriera di Treporti, era stato calcolato un beneficio limitato all’abbassamento del livello d’acqua di circa 5 centimetri. Ma considerando altri fattori si poteva arrivare solo a uno-due centimetri. Anche perché con una marea prolungata l’acqua avrebbe avuto il tempo di entrare in laguna dalle altre bocche”.
Insomma, alzare le paratoie del Mose parzialmente, non serve a nulla. Troppi rischi e, sopratutto il rischio di un fallimento clamoroso davanti agli occhi di Venezia e del Mondo. “La marea sarebbe durata molto tempo e mancando i compressori – ha spiegato il provveditore – si sarebbe impiegato molto tempo a sollevare le paratie. Inoltre, mancando pure i generatori di emergenza, l’opera sarebbe diventata ingovernabile in caso di calo di corrente elettrica“.
Nel Bilancio 2018 del Consorzio Venezia Nuova, il concessionario per la costruzione, la consegna definitiva è stata fissata al 31 dicembre 2021. In realtà il sistema avrebbe dovuto essere operativo già dal 2016. Invece tra inchieste per tangenti, costi calcolati malamente e problemi tecnici, l’opera e tutt’oggi incompiuta e non sarà pronta – facendo tutti gli scongiuri visti i continui problemi – prima dei due anni.
Del Mose, dell’acqua alta si parlava già negli anni 80′. Il progetto nasce nel 1992, la posa della prima pietra risale al 2003 ma occorrerà aspettare il 2006 per vedere iniziare i lavori. A oggi si parla di un’opera completa al 94% ma come ha candidamente ammesso il portavoce del Consorzio Venezia Nuova, Antonio Gesualdi – in una dichiarazione tv e rilanciata dalla stampa locale – quel 94% non si riferisce affatto all’avanzamento reale dei lavori, ma alla quota esaurita dei finanziamenti. Oggi si dice fine 2021 ma la verità è che non si sa se entrerà mai in funzione per davvero, anche se il primo collaudo- ufficialmente dichiarato riuscito – avvenuto lo scorso 2 dicembre lascia ben sperare, scrive il Giornale delle Protezione Civile. Tuttavia il Mose presenta varie problematiche quali: corrosione, costi per la manutenzione e gli interessi del malaffare.
E’ contro le leggi della fisica e della chimica, scrive Fanpage, pensare di installare un sistema di paratoie così imponente dentro l’acqua, a mollo, in balia di sale, correnti, incrostazioni. Gli olandesi, i tedeschi, gli inglesi, tutti, per difendere le loro coste hanno sempre optato per sistemi completamente all’asciutto. Non solo: le cerniere di queste immense dighe sono tutte isolate perfettamente dagli agenti atmosferici perché sono molto delicate. In Italia invece si decide di metterle sott’acqua.
Affinché funzioni, il Mose deve rimanere perfettamente manutenuto e pulito. Per garantirne la pulizia è stata costruita una gigantesca macchina ad hoc che si chiama Jack up, una mega chiatta mobile costata 50 milioni di euro e che in questo momento risulta essere anche guasta. Nelle procedure di pulizia delle paratoie, la chiatta parte dal cantiere per raggiungere il Mose, preleva la paratoia da ripulire e ne installa una pulita, trasporta la vecchia in cantiere dove viene ripulita e poi ricaricata a bordo, riportata al Mose, installata nuovamente per poi ricominciare così con un’altra paratoia. Questa operazione dura circa un mese e le paratoie sono 78, con una previsione di pulitura ogni 5 anni. Può bastare una pulizia ogni 5 anni a delle paratoie che, a differenza delle barche pulite una volta l’anno, non solo sono immobili ma sono anche completamente immerse, adagiate sul fondo del canale?
Se si volessero pulire una volta l’anno si andrebbero ad affrontare costi altissimi. Il problema è quello: i costi. Basti pensare al numero dei Jack Up che dovrebbero essere 4 o 5 e lavorare contemporaneamente per più giorni, con personale subacqueo consistente – servirebbero 4 squadre ognuna composta da circa 20 persone, scrive Repubblica – e a oggi c’è solo una squadra di 7 sommozzatori attiva. Per di più ci si ritroverebbe nell’incombenza di chiudere il porto per molti giorni; azione controproducente su più fronti. Inoltre, quando le paratoie vengono alzate, lasciano vuoti gli alloggiamenti dove si adagiano quando la barriera non è in funzione, ma una volta passata la marea le paratoie devono tornare al loro posto e non possono farlo perché bisogna pulire gli spazi vuoti che prima le contenevano. Infatti in questi spazi, per effetto del risucchio, vanno a depositare detriti, spazzatura e sabbia. Per pulire, devono intervenire squadre di sommozzatori e, in superficie, puntoni con benne e mega aspiratori, così come stanno facendo continuamente alla barriera di Malamocco-Treporti, riferisce Fanpage. Quanto questo verrà a costare non si sa, e non si sa quanto spesso dovranno essere pulite. Sempre a Malamocco, ci sono stati già 22 interventi di questo tipo da febbraio di quest’anno.
Le prime indagini sul Mose risalgono esattamente a 10 anni fa, siamo nel 2009. Un’ inchiesta lunga e difficile porta ai primi arresti nel 2013. Veniva arrestato per frode fiscale Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani, impresa del Consorzio Venezia Nuova (Cnv), riferì Veneziatoday. Baita collaborò con gli inquirenti spiegando come funzionava il sistema. I soldi erano gestiti da un concessionario unico studiato ad hoc, una figura spuria composta da soci privati che, però, operava con fondi pubblici e usufruendo dell’incredibile beneficio di non supportare sulle proprie spalle il rischio d’impresa. Per gli imprenditori che vi aderivano, insomma, era tutto da guadagnare e nulla da perdere. E infatti i soldi non bastavano mai: da 1,6 miliardi il Mose è finito per inghiottirne quasi 6. Un euro su cinque, per Baita, finiva in «spese extra». Ma non è finita qui: nella primavera del 2019, nell’ambito di un’indagine per riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell’attività finanziarie, le Fiamme Gialle hanno sequestrato 12,3 milioni, tra conti, denaro e immobili in alcuni paradisi fiscali, come riportato dal Il Sole 24 Ore. Secondo gli inquirenti si trattava di un tesoretto riconducibile sempre all’ex governatore veneto e al reinvestimento all’estero delle mazzette del Mose.
Dal 2014 il Mose risulta commissariato. A due anni dalla scadenza mancano il collaudo al sistema automatizzato per impedire che le paratoie si abbassino a causa di condizioni estreme di vento o il più complesso abbassamento dei fondali. Recenti studi hanno dimostrato che in soli 2 anni e mezzo c’è stato già uno sprofondamento di 8 centimetri, lo scrive il Consiglio Nazionale delle Ricerche sulla rivista Le Scienze. E mentre il mondo ha scartato questo sistema perché ha costi di gestione impossibili, noi lo scegliamo, perché non importa se verrà finito o meno. Un’opera gigantesca, costata decine di miliardi, dovrebbe essere – finalmente – quasi finita, ma Venezia e Chioggia sono ancora vittime delle maree e del clima che cambia.
Il Mose sembra non sia stato progettato per funzionare, ma perché qualcuno avesse un reddito. L’importante è che il cantiere ci sia, mangi soldi da quasi vent’anni anni, e, possibilmente, non finisca mai. E così mai si chiuderà il rubinetto di fondi pubblici con assunzioni e appalti per amici e tangenti per politici e forze dell’ordine.
Fonte: MoseVenezia.eu, Protezione Civile, Il Gazzettino, Il Fatto Quotidiano, Fanpage, Repubblica, VeneziaToday, Il Sole 24 Ore, Le Scienze
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