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Economia

Mittal pone le sue condizioni: “Restiamo in Italia, ma licenziamo 6.300 lavoratori”

Un Natale sereno per il premier Conte che pubblica sui social una foto nella quale è intento a preparare l’albero. Ma da Taranto le notizie non sono buone. Le richieste di ArcelorMittal riguardanti la crisi dell’ex Ilva sono irricevibili, secondo il Governo ed i Sindacati. Conte cerca di prendere tempo e prepara una contromossa. 

 

L’attesissimo incontro al Mise tra l’AD del gruppo ArcelorMittal Lucia Morselli e il Governo si è rivelato un autentico disastro. Il piano presentato sul tavolo dal colosso franco-indiano è a tutti gli effetti un programma di rientro, e consecutivamente di chiusura, delle acciaierie di Taranto. Mentre le battaglie negli uffici giudiziari continuano, come del resto vanno avanti le inchieste delle Procure di Taranto e Milano, sul piano politico non si fanno passi in avanti. Anzi. L’immobilità del Governo del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è costata cara alla città di Taranto. Tutt’oggi, nonostante gli annunci dei membri dell’Esecutivo sul ”Cantiere Taranto”, non è chiaro come Conte e i suoi vogliano risolvere la guerra legale con la multinazionale dell’acciaio. Morselli ha mostrato durante l’incontro i dati che proverebbero la perdita di oltre un miliardo per l’azienda, che dovrebbero giustificare il cambio degli accordi stipulati lo scorso novembre 2018. Nel 2023 sarebbe necessaria la chiusura dell’altoforno 2 e la sua sostituzione con un forno elettrico, con conseguente fine di una parte dell’acciaieria, di un treno nastri, dei tubifici e delle batterie a cooke. L’AD ha annunciato inoltre la volontà di rimodulare gli investimenti da 2,4 miliardi a 2 miliardi. Ma non è tutto, dato che la richiesta più grave è arrivata alla fine: 4.700 nuovi esuberi, passando dai 10.789 occupati del 2019 ai 6.098 del 2023, con una riduzione di 2891 unità già nel 2020. Tagli che aggiungendosi a quelli già fatti, porterebbero le uscite a 6.300.

Intanto Cgil, Cisl e Uil, a cui si sono uniti i sindacati di base Ugl e Usb, hanno indetto per il 10 dicembre uno sciopero di 24 ore nello stabilimento e nell’indotto, e organizzato un corteo che si andrà ad unire alla manifestazione già annunciata per lo stesso giorno a Roma dalle maggiori forze sindacali. Come spiega Maurizio Landini, segretario Cgil: “Il piano industriale di Arcelor Mittal è irricevibile. I 6300 esuberi ipotizzati non possono neanche essere presi in considerazione. Per noi l’accordo del 6 settembre 2018 è valido e vincolante. Questo non è un piano industriale, è un progetto di chiusura. La base da cui partire è quella: investimenti, otto milioni di tonnellate. E soprattutto zero esuberi”.

Il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, dalle colonne de La Stampa, non nasconde la sua amarezza per l’esito dell’incontro ma annuncia che il Governo è pronto ad ogni evenienza: “Sono molto deluso, l’azienda ha fatto passi indietro, ha ricominciato a parlare di 4.700 esuberi a fine piano, che prevede comunque una produzione finale di 6 milioni di tonnellate a partire dal 2021. Non è questa l’idea del Governo: noi pensiamo che si debba arrivare ad almeno otto tonnellate. Se la posizione è quella di oggi, ed è rigida, non credo che ci saranno le condizioni. Il Governo interverrà e presenteremo un nostro piano che farà diventare Ilva un esempio di impianto industriale siderurgico, con uso di tecnologie sostenibili, per arrivare a una produzione di 8 milioni di tonnellate e tutelare i livelli occupazionali. Siamo disponibile a investire e accompagnare l’azienda a questo percorso di transizione”.

 

Fonte: Repubblica, La Stampa, Giuseppe Conte FB

Pubblicato da
Mario Cassese

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