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Estera

Pedofilia e indagini insabbiate. Che fine ha fatto Silvia Romano?

Esattamente un anno fa Silvia Romano,la 24enne milanese, veniva rapita nel  piccolo e povero villaggio di Chakama , in Kenya, da un gruppo di 7 uomini armati. In quel periodo Silvia si occupava dei bambini diseredati del Kenya in collaborazione con la onlus italiana Africa Milele. Oggi, nel giorno dell’anniversario del rapimento, riprende anche il processo. Ma troppi sono i colpi di scena e  le bocche cucite, così com’ è emerso dalle inchieste di cui si stanno occupando la magistratura ma anche vari organi di stampa.

Si sono dette molte cose riguardo questa vicenda; un’inchiesta svolta dal Fatto Quotidiano mette in correlazione il rapimento con presunti fatti di pedofilia. Silvia arriva per la prima volta in Kenya il 22 luglio dell’anno scorso. Conosce Davide Ciarrapica durante una festa di beneficenza. Un 31enne che recentemente era stato condannato, in Italia, a 6 anni di reclusione e 35mila euro di danni per aver staccato a morsi l’orecchio a un ragazzo durante una rissa. Davide gestisce un centro per bambini a Likoni, un villaggio separato da Mombasa e Silvia, forse allo scuro delle vicende italiane, intravede la possibilità di fare qualcosa a favore dei più deboli, e quel giorno s’ imbarca per Mombasa, con lui.

I casi di pedofilia. Cosa ha visto Silvia?

Silvia alloggia per un mese circa all ‘Hopes Dreams Rescue Sponsorship Centre che appartiene a Rama Hamisi Bindo, di cui Davide è socio e amico, poi torna a Milano. Dai testimoni intervistati nell’inchiesta del fatto Quotidiano emerge che Davide avesse una relazione con una stupenda ragazza di 17 anni, ma pare nella struttura fosse presente anche una ragazzina di 14 anni incinta. Comportamenti equivoci anche da parte del socio di Ciarrapica, tra l’altro figlio di un famoso politico e con importanti protezioni.

Silvia ritorna il 5 novembre, ad attenderla all’aeroporto c’è Davide – la ragazza aveva organizzato una raccolta fondi a Milano per lui – sosta poche ore nella sua struttura e dopo raggiunge altri 2 volontari per dirigersi a  Chakama. L’11 novembre, nove giorni prima del suo sequestro, Silvia, dopo aver chiesto consiglio alla presidente di Africa Milele, Lilian Sora, – con altri due volontari, Giancarlo e Roberta – si dirige alla centrale di polizia per denunciare un keniota che per qualche giorno ha soggiornato nello stesso affittacamere in cui vivevano anche i volontari dell’associazione. L’uomo sarebbe Francis Kalama di Marafa, pastore anglicano: lo accusano di atteggiamenti equivoci nei confronti di alcune bambine.

A confermare che la volontaria italiana sarebbe stata testimone di un episodio di pedofilia è anche Tiziana Beltrami, una donna che a Malindi gestisce insieme al marito Roberto un notissimo ristorante e locale da ballo, il Karen Blixen. Il locale è stato, in questi anni, il punto di arrivo dei materiali spediti per aiutare le popolazioni locali, anche attraverso i volontari. Tiziana Beltrami aggiunge anche una pesante accusa: Lilian Sora, la presidentessa di Africa Milele, avrebbe in qualche modo tentato di evitare questa denuncia, perché questo sarebbe andato contro gli interessi del chairman, il capo villaggio di Chakama.

Infatti, le ricerche sui registri delle querele della polizia non portano a nulla. Eppure in un messaggio audio whatsapp, Silvia racconta, con una dovizia di particolari, di essere andata alla polizia e di aver avuto l’assicurazione che Kalama sarebbe stato arrestato e “le bambine sottoposte a un test medico”. Una promessa che non avrà seguito perchè Kalama sparisce. Di lui nessuno ha più traccia, tanto meno gli investigatori, e  nè si pensa abbia mai avuto notifica della denuncia.

Indagini insabbiate

Nella vicenda di Silvia non è solo Kalama a scomparire: dai file dell’aeroporto di Mombasa Silvia Romano non risulta, non ci sono foto e impronte digitali registrate, così come avviene per ogni persona che entra nel Paese. Scompare anche Ibrahim Adhan Omar, uno dei 3 rapitori che la polizia era riuscita ad arrestare, gli altri 2 sono  Moses Lwali Chembe e Abdullah Gababa Wario. Come appreso da Africa Express  di lui non si hanno più notizie se non quella che lo scorso 14 novembre non si è presentato all’udienza preliminare del processo. Era stato liberato, assieme a Moses, dopo aver pagato l’equivalente di 26mila euro. La somma sarebbe stata versata dal padre di un uomo arrestato a marzo in un’operazione anti-terrorismo. Un ‘uomo del mistero’ che potrebbe essere la chiave per il ritrovamento di Silvia. 

Dai verbali e tabulati telefonici, avuti 9 mesi dopo dall rapimento, emerge che la ragazza si troverebbe ora in Somalia nelle mani di un gruppo legato ai terroristi di Al Shebab. A provarlo sarebbero, per i magistrati italiani, i contatti telefonici captati tra gli autori materiali del rapimento e i loro contatti in Somalia nei giorni subito dopo il 20 novembre. Secondo fonti vicine al governo somalo, esisterebbe un video che mostra Silva prigioniera. Nel video si vedrebbe un villaggio, ma non è detto che sia in Somalia. Il filmato sarebbe nelle mani dei nostri agenti in missione nella capitale somala. Ma alla richiesta di fornire almeno un fotogramma del girato, per avere la sicurezza che esiste davvero, la risposta è stata evasiva. Gli inquirenti intervistati da Africa ExPress restano dubbiosi : “Per capire dov’è Silvia, occorre prima capire chi sono i veri mandanti, chi ha ordinato il sequestro” e soprattutto perchè.

Italia e Kenya : una collaborazione che non convince

All’udienza preliminare del 14 novembre oltre ai 2 imputati rimasti, era presente  anche una funzionaria dell’ambasciata italiana ma non il Sottosegretario alla cooperazione Emanuela Del Re. In quei giorni anche lei si trovava a Nairobi, come riporta il sito del Ministero degli Affari Esteri, dove, in occasione del vertice ICPD25,ha avuto due incontri bilaterali con la Ministra degli Affari Esteri del Kenya, Monica Juma e con il Ministro del Tesoro, Ukur Yatani Kanacho. Al centro dei colloqui la vicenda di Silvia.  La riunione ha riconfermato la collaborazione a livello operativo tra i due Paesi per una positiva soluzione della vicenda. La Ministra Juma ha ribadito il forte impegno del Kenya in tal senso, anche nell’interesse nazionale del suo Paese, sia a livello investigativo che giudiziario.

Ma allora come mai ai carabinieri italiani è stato concesso di andare a Chakama a visitare la misera stanza dove viveva Silvia soltanto il 23 d’agosto scorso? E perché solo in quei giorni sono stati consegnati agli italiani i tabulati dei numeri telefonici di Silvia? Forse occorrerebbe che qualcuno spiegasse tutti questi silenzi, queste omissioni, queste reticenze. Come possiamo credere a ” una forte collaborazione” se nei registri aeroportuali il nome di Silvia è stato fatto sparire? Preti accusati pesantemente ma che scompaiono altrettanto velocemente. Com’è possibile che un semplice pastore possa pagare una cauzione che è il corrispettivo di una villa in quei posti, e ritornare poi nella sua baracca? Il Kenya ha fin da subito cercato d’ insabbiare tutto. Cosa è successo realmente? Le indagini sembrano dire tutto e niente. E intanto oggi è ripreso il processo.

A.M.

Fonte:Fatto  Quotidiano, Africa Express, Ministero degli Esteri

 

 

Pubblicato da
Maria A

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