Il leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio è passato da un “no” secco allo scudo penale, ad una posizione più accondiscendente. Infatti ha dichiarato che il Governo giallorosso farà di tutto per far restare Ancelor Mittal a Taranto. Intanto il giudice di Milano Claudio Marangoni ha convocato ambo le parti in causa per trovare un compromesso.
Non cambiare mai idea non sempre è un pregio. Cambiarla troppo spesso e troppo rapidamente, d’altra parte, può mandare in confusione i propri elettori. E questo è il caso del leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio. Nelle scorse settimane, sulla scia dell’onda dei “duri e puri” innescata dalla senatrice Barbara Lezzi, il leader pentastellato aveva più volte ribadito: “Lo scudo penale se lo scordino. Non lo rimetteremo mai, discorso chiuso!” E, addirittura – come riportava Huffington Post – aveva lasciato presagire che avrebbe potuto far cadere il Governo qualora qualcuno del PD, come, ad esempio, il deputato Graziano Delrio, avesse presentato un emendamento per riproporre un’indennità fiscale per le imprese. Queste erano state le sue parole: “Se l’emendamento lo presenta la Lega non mi stupisce: ormai sono diventati i servetti di Ancelor Mittal. Ma se la proposta viene dai nostri alleati allora vuol dire che questo Governo non funziona, non ha ragione di andare avanti”. Qualcuno, come l’ex deputato del PD Carlo Calenda aveva ipotizzato che il M5S stesse facendo tutto questo per consegnare la Puglia alla stessa senatrice Lezzi alle prossime elezioni regionali. Ma negli ultimi giorni il registro pare cambiato. Tutto è avvenuto in seguito alla deposizione di Ancelor Mittal, presso il Tribunale di Milano, della richiesta ufficiale per recedere dal contratto di affitto dell’Ilva di Taranto. Infatti il gruppo indiano – come riferiva AGI – aveva sostenuto fin da subito che nel contratto sottoscritto con il precedente governo nel 2018, era specificato che la venuta meno di determinate condizioni come l’immunità penale, dava loro il diritto di ritirarsi. Mentre il Partito Democratico di Nicola Zingaretti e lo stesso presidente del Consiglio Giuseppe Conte sembravano propensi, fin da subito, a scegliere la via del compromesso e rimettere una qualche forma d’immunità penale come il “decreto onmibus”, i pentastellati si erano mostrati fermi sulle loro posizioni. Ma ora, appreso che Mittal fa sul serio, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio pare aver cambiato i toni. Come riferisce TgCom24, così si è espresso il Ministro: “Non ci sarà nessuna nazionalizzazione. Sarebbe il modo migliore per farla passare liscia ad Ancelor Mittal. La società deve restare a Taranto, costi quel che costi.” E ha proseguito: “Siamo disposti a trascinarli in Tribunale. Hanno firmato un contratto con lo Stato. Quindi si sono impegnati con tutto il popolo italiano. Se pensano di fare come vogliono loro hanno sbagliato Governo. E poi non possiamo permettere che se ne vadano, altrimenti perderemmo ogni credibilità e nessuno s’impegnerà più seriamente con noi.” Certo le posizioni di Luigi Di Maio restano dure ma nessun accenno allo scudo penale. Nessun “no” fermo e secco come nelle scorse settimane. Anzi. In quel “li faremo restare, costi quel che costi” si potrebbe presagire la possibilità di scendere a compromessi con il gruppo franco indiano.
Intanto – come riporta Adnkronos – il giudice di Milano Giuseppe Marangoni ha invitato il gruppo franco indiano a non spegnere gli altiforni dello stabilimento siderurgico tarantino e a non ridurre la produzione. Non si tratta – come specificato – di un provvedimento vero e proprio quanto di un invito alle parti a collaborare. Infatti il giudice ha già convocato gli esponenti del Governo e i vertici di Ancelor Mittal per sedersi intorno ad un tavolo e trovare una via di mezzo che risulti accettabile per tutti. Pertanto, il M5S, da “no” senza mezzi termini, potrebbe rapidamente passare ad un “vediamo cosa si può fare”. Con buona pace della senatrice Barbara Lezzi e dei tanti cittadini tarantini che votarono i Cinque Stelle proprio sulla promessa che l’Ilva sarebbe stata chiusa.
Fonte: AGI, Adnkronos, TgCom24, Huffington Post