Martedì a Montecitorio è prevista l’informativa del Presidente Giuseppe Conte sul presunto conflitto di interessi denunciato dal quotidiano britannico Financial Times. Il Premier sarà in aula dopo la richiesta di Fratelli D’Italia di chiarire la sua posizione sulla vicenda Fiber 4.0, risalente al maggio del 2018.
Il caso Fiber e il tentativo di scalata della Retelit
La vicenda descritta dal Financial Times parte da un indagine del Vaticano e si protrae sino al tentativo di scalata ad una società leader del settore delle telecomunicazioni. E chiama in causa anche il Premier Giuseppe Conte, che dopo la bufera non può sottrarsi dal riferire al Parlamento sulla sua posizione. Ma cerchiamo di fare chiarezza.
Il fondo Fiber 4.0, il cui maggiore azionista era il finanziere Raffaele Mincione, ha cercato nell’aprile del 2018, partendo da una quota del 9% delle azioni, di scalare la società Retelit. La Retelit è una delle aziende leader nelle telecomunicazioni in Italia, gestendo circa 12.500 km di cavi in fibra ottica lungo tutta la penisola. Dal 2016 è divenuta un segmento della Star, big italiana che si occupa della progettazione e gestione del nuovo 5g. La Fiber, che ha cercato di collocare Mincione alla presidenza del consiglio di amministrazione della Retelit, è stata sconfitta alle votazioni da una cordata formata dal gruppo statale libico delle telecomunicazioni e dalla Shareholder Value, un fondo tedesco.
Secondo il Financial Times, la Fiber avrebbe cercato di invalidare il risultato della votazione con un intervento legale che avrebbe però necessitato di un provvedimento del Governo, il cosiddetto “Golden Power”, ossia il potere attribuito allo Stato di proteggere e blindare una qualsiasi società operante in un settore strategico per l’interesse nazionale, in questo caso le telecomunicazioni. Per fare questo si affidò, per un parere legale, a Giuseppe Conte, allora avvocato e docente di diritto presso l’Università di Firenze. Conte però, nel giro di poche settimane, sarebbe divenuto Presidente del Consiglio, ovvero capo di quel Consiglio dei Ministri che avrebbe dovuto decidere delle sorti della Fiber.
L’avvio dell’indagine vaticana
Il Financial Times ha scoperto che Raffaele Mincione è gestore del fondo di investimenti “Athena Global Opportunities”, il cui unico investitore era la Segreteria di Stato Vaticana. L’ente dello Stato Pontificio rilevò, con 200 milioni di euro, il fondo “Athena”. Soldi che Mincione avrebbe investito in un palazzo di lusso nel centro di Londra e per investimenti mobiliari di tre società quotate in Borsa: Banca Carige, Tas e Retelit. Come confermato dallo stesso Mincione al Corriere della Sera, il Vaticano è stato dunque proprietario di queste azioni sino al novembre del 2018, quando nella divisione degli utili, il palazzo londinese andò allo Stato Pontificio mentre Mincione tentò, con i rimanenti contanti, la scalata proprio la Retelit.
La scorsa estate è partita un indagine voluta dai pm vaticani Gian Piero Milano e Alessandro Diddi, a seguito delle denunce presentate dall’Istituto per le Opere di Religione e dall’ufficio del revisore generale, riguardati investimenti ed operazioni finanziarie sospette. Nel mirino proprio il fondo “Athena” gestito da Mincione e l’acquisto, tra gli altri, dell’immobile nel centro di Londra e delle quote societarie di Retelit. Questo il legame dunque, tra il Vaticano, Fiber e Giuseppe Conte, svelato dal Financial Times: Mincione con gli investimenti del fondo “Athena”, che apparteneva al Vaticano, tenta di scalare la Retelit, ma non ci riesce. Chiede dunque un parere legale per cercare l’annullamento della votazione coinvolgendo il Governo Gentiloni, a Giuseppe Conte, che però da lì a breve sarebbe divenuto Premier.
La difesa del Presidente Conte
In una lettera inviata come risposta allo stesso quotidiano britannico, il Presidente Giuseppe Conte si difende dalle accuse: “Le mie azioni sono state giudicate totalmente appropriate e alla luce del sole dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, responsabile per le indagini sui conflitti di interesse in Italia. Il 23 gennaio 2019, infatti, l’Autorità ha escluso l’esistenza di un tale conflitto, alla luce dei chiarimenti forniti e dei documenti ricevuti”. Il Premier cerca poi di far luce sui rapporti intercorsi tra lui, al tempo avvocato e non ancora Presidente del Consiglio e la società Fiber 4.0: “All’inizio di maggio 2018, prima di entrare in carica come Primo Ministro, quando lavoravo ancora come avvocato, sono stato assunto professionalmente da una società chiamata Fiber per fornire un parere legale pro-veritate sul possibile utilizzo da parte del Governo italiano dei suoi poteri di golden power su Retelit. Devo sottolineare che questo è stato l’unico contatto professionale che io abbia mai avuto con Fiber 4.0”. Conte ha inoltre ribadito la sua assenza alla riunione del Consiglio dei Ministri, che il 7 giugno, decise di applicare il cosiddetto “Golden power”.
Poi il Premier parla dei suoi presunti rapporti con l’investitore Raffaele Mincione: “Ho preparato un mio parere e fornito consulenza legale sul tema in questione, basandomi esclusivamente su documenti che mi sono stati inviati e senza mai incontrarmi o interagire con i direttori o gli azionisti della società. Di conseguenza, ero del tutto inconsapevole del fatto, e in effetti non era necessario saperlo, che Raffaele Mincione fosse tra gli investitori, o che fosse coinvolto un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano, come ipotizzato nell’articolo”.
La posizione del Premier non è del tutto chiarita
Come riportato da Il Giornale, nella lettera difensiva di Conte ci sono alcune importanti incongruenze. Raffaele Mincione chiede di valutare l’applicazione del “Golden Power” all’allora Governo Gentiloni il 20 aprile 2018, ma Giuseppe Conte, in veste di avvocato incaricato, fornisce il suo parere legale il 14 maggio, periodo in cui era già divenuta di dominio pubblico, la notizia della partecipazione di Conte al Governo giallo-verde, allora teorizzata nel Ministero della Giustizia o in quello della Pubblica Amministrazione. In merito poi al Consiglio dei Ministri che decise le sorti della Fiber, il successivo 7 giugno, è certa l’assenza di Conte ma come confermerebbe il decreto del Presidente del Consiglio, la decisione sarebbe stata presa prima di quella riunione e con l’avallo dell’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Luigi di Maio.
In fine, uno degli elementi fondanti il ricorso della Retelit contro il provvedimento adottato dal Governo giallo-verde: la firma del parere dell’Agcom non è stata apposta dal Presidente o dai commissari in forma collegiale, ma dal segretario Riccardo Capecchi, circostanza definita “anomala” dai legali della società.
Fonte: Financial Times, Corriere della Sera, Giornale