Mafia nigeriana: è arrivato il momento dei Vikings. Recentemente sono comparsi in Piemonte, Marche, Emilia Romagna, in Sicilia ed in Sardegna, territori già occupati da gruppi rivali. L’incremento delle Confraternite malavitose porta all’incrementato delle attività illecite e rende le comunità maggiormente esposte a conflitti che possono sfociare in guerre sanguinose fra le strade.
Nata agli inizi degli anni ottanta, la Mafia nigeriana ha goduto fin da subito della protezione dei gruppi dirigenti del paese africano: così ha potuto portare avanti i propri traffici in maniera spesso indisturbata, contando sul sostegno di un’ampia parte delle Forze dell’Ordine. Sarebbero centinaia gli agenti passati nell’organizzazione criminale. Realtà transnazionale e quindi presente in decine di Paesi, dalla Germania alla Spagna, dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Il radicamento è forte anche in Italia, ricorda Tpi, dove gestiscono un consolidato traffico di eroina e cocaina e anche quello della prostituzione con donne tenute in vere condizioni di schiavitù.
Una componente in ascesa della Mafia nigeriana è ben radicata in Sicilia e si muove con la medesima violenza delle organizzazioni criminali italiane, come Cosa nostra. Catania e Palermo sono le due sponde opposte di questa realtà: i Vikings all’ombra dell’Etna e i Black Axe nel capoluogo siciliano, con a Ballarò trasformata in enclave, colpita più volte dalle forze dell’ordine e dalle dichiarazioni di diversi pentiti. Ma, nonostante i colpi subiti, i Black Axe a Palermo sono tuttora fortemente radicati. I Vikings in Italia sono entrati prepotentemente nelle cronache nazionali a gennaio scorso, in relazione ad un’indagine sulle realtà criminali intorno al Cara di Mineo.
“E’ un grosso errore il Cara di Mineo” disse il Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. “Non sono qui per esprimere opinioni – ha dise magistrato – ma io qui constato che così come è il Cara di Mineo non funziona assolutamente e non svolge assolutamente il suo compito. Anzi diventa snodo per i traffici di sostanze stupefacenti e luogo nel quale entrano ed escono criminali e nel quale si svolgono episodi di una brutalità veramente impressionante”.
L’operazione fu caratterizzata da 16 provvedimenti di fermo, che il GIP di Catania convalidò prontamente, e da tre persone in fuga all’estero. L’inchiesta – scrisse L’Eco del Sud – era stara avviata a settembre dello scorso anno, a seguito della denuncia di un nigeriano, ospite del Cara di Mineo, in relazione a più aggressioni e a una rapina subita a opera di connazionali presenti nel centro migranti. L’operazione, denominata Norsemen, fu condotta dalla Squadra Mobile di Catania con il coordinamento del Sostituto Procuratore della Dda etnea Andrea Bonomo e della PM Michela Maresca, Le indagini confermarono le dichiarazioni e consentirono di documentare l’attività dei “Vikings”. Emerse, come per i Black Axe, una struttura organizzativa gerarchica, membri al coordinamento dei vari gruppi diffusi nel territorio dello stato italiano e alla sorveglianza interna. Emerse anche suddivisione sul territorio italiano in ‘cellule’, con competenza su specifiche porzioni del territorio. Gli indagati appartenevano tutti ad una cellula operativa a Catania e provincia, con base operativa proprio nel Cara di Mineo, La struttura verticistica è venuta fuori chiaramente dalle conversazioni captate nel corso dell’indagine, in particolare durante lo svolgimento di un incontro tra gli affiliati a Catania. Registrati dagli inquirenti, il rituale risultò caratterizzato da canti che inneggiavano all’unità della confraternita, durante il quale ciascun singolo appartenente esclamava “voglio essere Norseman”. Per scandire la liturgia, simulavano spari di arma da fuoco, sbattendo degli oggetti hanno riferito gli inquirenti.
La realtà criminale era dedita al traffico di stupefacenti e reati contro il patrimonio. I Vikings imponevano la loro egemonia sul territorio, scontrandosi con gruppi rivali con il fine di conservare il predominio delle comunità straniere nel Centro di accoglienza dove, scrisse Repubblica: “dettava legge la mafia nigeriana. Facendolo diventare una succursale della “Supreme Viking Confraternity”. Al vertice del clan, risultò essere William Ihugba ritenuto dagli inquirenti capo supremo “con potere di nomina dei capi” – denominati “executioner” – dei gruppi sul territorio nazionale. Il capo del gruppo operante a Catania e provincia fu individuato in Eiarion Kingrney,
Quella del Centro fu una situazione insostenibile che portò il procuratore Carmelo Zuccaro a dirsi d’accordo con l’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini sulla chiusura del Cara. “E’ sotto gli occhi di tutti che un Cara come quello di Mineo ospita un numero di persone cosi’ rilevante e non puo’ essere controllato: al centro accedono anche persone non autorizzate che gestiscono traffici illeciti: è un errore enorme che si paga in termini di controllo della legalita’. Credo che l’esigenza di chiudere il Cara di Mineo cosi’ come funziona adesso, sia avvertita da tutte le forze politiche, e indubbiamente il ministro dell’Interno recepisce quella che e’ una necessita’ che tutti noi avvertiamo” disse il magistrato.
Nel coso di un’intervista a Rtl 102.5 riportata da AGI il Ministro Salvini dichiarò che il Cara di Mineo sarebbe stato chiuso entro l’anno. “Più grossi sono i centri più è difficile controllarli – disse – io sono per la politica dei piccoli centri, più controllati e più trasparenti che costano di mano“. Il Cara di Mineo ha chiuso definitivamente nel luglio di quest’anno. Il Ministro si recò ella struttura del Catanese parlando di “bellissima giornata“. Al suo ingresso, riferì il Messaggero, una delegazione di dipendenti ed ex lavoratori del Centro accoglienza richiedenti asilo più grande d’Europa protestò utilizzato fischietti ed esponendo uno striscione con la scritta ‘Lasciati in mutande‘ per la perdita del posto di lavoro. “Cara di Mineo, Salvini caccia i migranti ma aiuta i cani” fu il titolo di Repubblica, con riferimento al ricollocamento di 117 randagi, soliti aggirarsi intorno al Centro che, con la chiusura, avrebbero perso un punto di riferimento, per quanto occasionale. Il Ministro si spese per trovare una “nuova casa” ai cani, suscitando più di una reazione indignata: “Prima la Madonna e i Santi, ora i cani che, per carità, sono creature e meritano grande rispetto. E gli uomini no? Mi piacerebbe lo stesso rispetto verso le persone, umiliate nella loro dignità“, disse don Luigi Ciotti. E lo stesso don Ciotti si era espresso con queste parole, riportate dall’Ansa, a margine della plenaria di apertura di Contromafiecorruzione a Trieste qualche mese prima: “Oggi il problema più grave non sono i migranti, è mettere testa sulla corruzione e sulle mafie nel nostro Paese. Non c’è regione d’Italia che può considerarsi esente” dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. E che a Nordest, “ai confini“, questa “fa affari“.
La Confraternita – o Cult in gergo malavitoso – dei Vikings detti anche “Norsemen della Nigeria” nasce nel 1984 presso l’Università di Port Harcourt da un ex componente dei Buccaneers, una confraternita minore. La Supreme Vikings Confraternity abbrevia il nome una volta giunta in Italia in “Vikings”. Un capo ed i propri luogotenenti hanno il compito di gestire le attività illecite in specifiche aree di competenza e di reclutare nuovi adepti, anche sottraendoli ad altri Cult attraverso un rito d’iniziazione “intenso e brutale” riferisce un report dell’Institute of Current Word Affairs. Chi ha un ruolo subordinato ai luogotenenti si occupa dello smercio di stupefacenti e controlla il racket dell’accattonaggio, funzionale anche al controllo del territorio. Durante le feste sono soliti indossare un cappello di colore rosso. Il Cult, si fa pubblicità e non disdegna l’apparizione sui social, ove è presente con un profilo Facebook dedicato. Operano online vendendo ragazze, e la loro Intelligence intercetta chi ricerca video di donne di colore, per poi esortare con profili falsi a contattare “le proprie”. Cercando su Facebook “Supreme Vikings Confraternity” si trovano messaggi che sembrano in codice, ma con una serie di termini forti che non lasciano spazio a fraintendimenti, seppur scritti in un inglese mescolato a chissà quale dialetto. Nei messaggi sono chiari riferimenti agli “Awumens” un termine che rimanda alla confraternita dei Buccaneers: in esso si parla di una vera e propria religione e si fa riferimento a come non ci si penta del “taglio”, forse quello che tipicamente viene fatto nel rituale di affiliazione. Si prosegue con una frase intimidatoria sugli “Awumens”, che credono di essere potenti, ma poi comprendono che loro – i Vikings – hanno ancora la scorza robusta. Per quanto, come avvisa il report della DIA, sia davvero complesso comprendere le dinamiche intra gruppo, tuttavia c’è una frase che mi colpisce e non solo perché l’unica facilmente traducibile, ma anche perché sembra possedere una connotazione vendicativa: “I Vichinghi stanno aumentando e il sangue si moltiplica”– parole che non lasciano scampo alla vaghezza semantica.
Fonte: Polizia di Stato, Tpi, Eco del Sud, Repubblica, Institute of Current Word Affairs, Supreme Viking Confraternity FB. Ansa
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