La rocker italiana per eccellenza, Gianna Nannini, si racconta in un’intervista su Vanity Fair. La cantante nostrana svela aneddoti e impressioni di una Gianna dall’io non più diviso, come ammette di aver avuto.
Una Gianna Nannini sicuramente più grande e consapevole è quella che appare in un’intervista a Vanity Fair. Parla molto del suo passato, Gianna, e ricorda il padre, forse perchè il suo obiettivo, fin da quando arrivò giovanissima a Milano, era fuggire da Siena e da un destino scritto nel laboratorio di pasticceria del padre. “Non s’andava d’accordo” dirà in seguito.”Andavo ai concorsi canori con la complicità della zia Anna. Mio padre scoprì tutto e l’affrontò: “Cosa stai facendo alla mi figliola, portarla in quei troiai!”. Loro erano ostinati, mi vedevano come insegnante di lettere o a occuparmi dell’azienda di famiglia. Io più ostinata di loro. Esisteva altra soluzione alla fuga?”
La figura del papa’ compare spesso negli aneddoti dell’intervista; un rapporto complicato e delicato fatto, ora, di ricordi: dalla schiaffo dato quel giorno in cui le strappo’ un cornetto con la crema dalle mani, alla macchina regalatale quando a 18 anni riuscì a prendere il diploma, studiando 2 anni in 1. Da quel momento non deve essere stato facile per la macchina avere una meravigliosa creatura come Gianna come proprietaria: “La lasciavo in bella vista sul sedile del passeggero, ogni tre mesi qualcuno regolarmente spaccava il vetro per rubarmi le autoradio e io incassavo felice i soldi dell’assicurazione”. Inizia da allora una vita anticonformista, passata attraverso la difficile accettazione di sè: “Da ragazza non mi piacevo ed evitavo di guardarmi allo specchio. Mi vedevo brutta. Il naso lungo, le tette che di diventare grandi non volevano proprio saperne, lo sviluppo che tardava ad arrivare e un canone estetico che non collimava con quello in voga. L’adolescenza è un’età terribile. Come rimani male nell’adolescenza, dopo non rimani più”. Dall’adolescenza in avanti, fino alla maternità, anche questa nel segno dell’anticonformismo, raggiunta alla soglia dei 54 anni e, secondo alcuni più tardi, a 56, perchè Gianna barava sull’età. Nel 2010 nacque Penelope una bimba senza papà e tra non pochi scalpori, con il professore Severino Antinori che si disse certo si trattasse di una fecondazione eterologa: “un caso di fecondazione omologa dopo i 48 anni semplicemente non si dà: non ne viene citato in letteratura neppure un esempio” non esitò a sottolineare il medico parlando alla Stampa.
Dalla prima adolescenza alla nascita di Penelope c’è stato un percorso altalenante, fatto di una ricerca d’identità che si conclude con la consapevolezza di non averla, senza rammaricarsene né soffrire. Non più:
“Ami gli uomini? Ami le donne? – dice ora, ribelle, determinata, fuori dagli schemi e franca. Dice di odiare le definizioni perché spesso ghettizzano – Sento sempre le stesse domande davanti alle quali uno vorrebbe dire soltanto: ‘Ma te li fai i cazzi tuoi?’ Eppure sarebbe semplice: a me le divisioni, a partire da quelle di genere, non mi hanno mai interessato granché. Ho sempre amato uomini e donne e soprattutto non ho mai avuto freni nel sentire e seguire quello che volevo. Le ho sempre rifiutate, le definizioni. Al termine “coming out”, che ghettizza, ho sempre preferito la parola libertà. Alla parola gay, che ti pretenderebbe felice e ormai non usano più neanche in America quando indicono un pride, preferisco frocio. Chi è libero nel linguaggio è libero dentro”.
E della libertà ha patito anche gli eccessi, dice ora Gianna, che torna al momento più difficile della sua vita: gli anni 80′. “Tutti mi dicono che so’ pazza, ma credo semplicemente che quando uno è sé stesso sembra matto. La follia è un’altra cosa. Io l’ho sperimentata e ho sperimentato anche la schizofrenia. So cosa sono. Mi è capitato di morire e poi rinascere”. Racconta di una Gianna piena di paranoie,in crisi profonda verso se stessa, e anche l’abuso di droghe che ha fatto in quegli anni non l’ha aiutata a riunire i pezzi del suo io frammentato. “Tranne l’eroina, le ho provate tutte. Ero a Londra e ce la portavano in studio con la stessa semplicità con cui oggi ti consegnerebbero un panino. Non stavo mai senza, ci viaggiavo, ero del tutto incosciente”. Ma la vera trasgressione attiverà molti anni dopo, con Penelope, appunto. Non solo per l’età della madre ma per l’effetto che la bambina fece alla ribelle Gianna. Fu una rivoluzione capovolta: “Sembra un paradosso ma, giuro, trasgredisco più ora di allora – disse a Repubblica, in occasione del quarto compleanno di Penelope – E faccio cose che non avevo mai fatto: le pulizie, il bucato. Ma non mi lamento, sono stata toccata dalla divinità; la maternità è una cosa mistica, ti solleva, eleva lo spirito problemi quotidiani a parte. Non sono apprensiva, e neanche preoccupata, cerco di prestare attenzione alle sue inclinazioni e alle sue potenzialità. I genitori devono solo incoraggiare le inclinazioni dei figli, non scegliere per loro“.
E rivelò, ancora, quasi stupita, le metamorfosi che quella bambina aveva portato nella sua vita. Una, in particolare, riguardava proprio il suo ego, la stella polare che l’aveva guidata per trent’anni e che alla fine l’aveva portata a casa dove ad attenderla c’era una creatura chiamata, non a caso, Penelope: “Ho imparato a trascurare me stessa – disse – La rock star è per definizione egoista. Il nostro è un mestiere competitivo, devi essere concentrato per dare il meglio, tutto gira intorno a te. Ora invece la mia giornata è per l’80% dedicata a lei. Il pianoforte è rimasto a lungo muto. Mi restano cinque minuti al giorno per le canzoni, ma per fortuna quando l’ispirazione arriva riesco a fare tutto in fretta“. L’ispirazione arriva di fretta e toglie presto il disturbo, perchè il tempo, dopo le fughe, le scoperte, le trasgressioni e la follia è scandito dai passi della figlia. Qualche volta si affaccia sulla scena un disco, come un vecchio cane nel salotto di casa, Penelope permettendo. Tanto per ricordare a sé stessa e agli altri di essere Gianna, dopo tutto.
Fonte: Vanity Fair, Stampa, Repubblica
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