La Mafia è un modo di vivere, un atteggiamento, è un pensiero radicato nell’agire quotidiano di una collettività, e ancor prima del singolo. Non è solo Cosa Nostra, Camorra o Ndrangheta, ” è un fatto umano”, come diceva Falcone. Una riflessione dovuta e necessaria, soprattutto dopo le recenti dichiarazioni di Papa Francesco, che ha definito le mafie come “Made in Italy”, e l’immigrazione una risorsa preziosa.
C’è una dichiarazione che non passa inosservata di Papa Bergoglio, resa ad aprile scorso, parlando a braccio nell’udienza concessa in Vaticano ai docenti e agli studenti dell’Istituto San Carlo di Milano. “Non bisogna aver paura dei migranti e alimentare psicosi” ha detto, in un discorso documentato da Repubblica, sottolineando un pensiero che, nell’intento del Pontefice, si pone come necessaria premessa, storica e sociale, per l’ennesimo endorsment nei confronti della migrazione e dei migranti.
Ora, se volessimo solo soffermarci sulla definizione della parola mafia ci troveremmo sicuramente d’accordo con quello che dice il Pontefice a riguardo. Nelle parole del Papa si riscontra correttezza storico-politica e geografia del termine, un pò meno quando si va ad analizzare la logica con la quale il Vicario di Cristo la riconosce,la minimizza, e poi la veste di normalità. Giustifica la malavita con l’esistenza di altra malavita: “Delinquenti ne abbiamo anche qui”. Dunque? Possiamo farci carico di altri dovremmo dedurre. “La Mafia non l’hanno inventata i nigeriani. E’ un valore,tra virgolette, dell’Italia”.
Tralasciando il fatto che una figura come quella del Pontefice avrebbe potuto utilizzare altri termini, evitando qualsiasi forma di sarcasmo attraverso un virgolettato, fuorviante è il messaggio che ne viene fuori, perché la Mafia risponde a uno schema, ad modus operandi. Questa considerazione vale per le organizzazioni criminali di stampo mafioso – ovvero per tutti quei criminali che si organizzano secondo uno schema di gerarchie e protezione della “creatura”, che è l’organizzazione stessa, la famiglia. Questa, con piena evidenza, non è un’esclusiva italiana. Possiamo dire pertanto che la Mafia non è solo l’Italia, è un modo d’intendere la vita. E’ dove c’è crisi, dolore, paura, E’ un atteggiamento che attecchisce, prende forma e si organizza dove non c’è Stato. E’ una causa del disagio sociale, non è la conseguenza.
Ed è secondo questa logica degli eventi, che nella seconda metà degli anni 70′, tra gli ambienti universitari e le confraternite della città di Benin City, in Nigeria, nasceva e maturava un senso di fraternità trasfigurato, a seguito di una profonda crisi economico politica dettata dal petrolio. Da lì a breve i Black Axe sarebbero diventati una delle più potenti, estese e sanguinarie organizzazioni criminali al mondo. Che abbiano scelto il modello italiano, è come condannare l’arma, in un caso d’omicidio, e non l’assassino. E infine assolvere l’arma perché il fatto non sussiste; esiste solo quella nostra. Alla fine è colpa della vittima.
Per quanto riguarda la questione migranti, se la generalizzazione spesse volte conduce a giudizi fallaci, l’iper generalizzazione ottunde completamente la più realistica delle visioni. Affinché i migranti possano essere una fonte di ricchezza per un Paese, quest’ultimo dovrebbe essere – nella più idilliaca delle realtà – perfettamente funzionante in ogni sua componente. Qualora invece il Paese patisca instabilità sociali e sussistano evidenti problemi nella loro gestione, protratti nel tempo, parlare di ricchezza ipso facto proveniente dai migranti è decisamente un azzardo.
Una caratterista propria della Mafia risiede nella complessità antropologica e socio-culturale che rende il fenomeno estremamente mutevole: Monica Massari, sociologa e docente universitaria, citata nella rivista dell’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata evidenzia le ripercussioni sociali in ‘Mafia Violence’ richiamando il concetto di “trauma collettivo” elaborato da Jeffrey C. Alexander. I componenti della Mafia nigeriana hanno aderito a una visione sociale e comportamentale, ben lontana da una sana integrazione nel nostro Paese. Basti pensare alla città d’ Agrigento – tornata recentemente sulle cronache per l’’Operazione Piazza Pulita’ che si concluse con l’arresto di alcuni membri di un clan di spacciatori nigeriani – o alla città di Macerata, segnata dal cruento omicidio di Pamela Mastropietro.
Dunque la semplificazione nelle parole del Papa in quanto premessa per una politica migratoria dissennata rischia di ampliare il raggio d’azione delle organizzazioni criminali. Al contrario, porre un freno all’ingresso incontrollato dei migranti evita tensioni sociali che perdurano nonostante le operazioni di successo condotte dalle Forze dell’Ordine, tensioni che alimentano, inevitabilmente, fenomeni deprecabili come la xenofobia. Si apre quindi una riflessione su come Papa Francesco, da buon cristiano, debba necessariamente valutare se aprire con tale eclatante serenità le porte a chi rischia di accentuare le tensioni sociali. E quanto si manifesta come necessario, in questo caso, non richiede una perdita d’umanità, ma, forse, un uso coscienzioso di quest’ultima, anche nell’interesse degli Ultimi.
Fonte: Repubblica, Osservatorio sulla Criminalità Organizzata n°4 del 2018
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