“Salvini in galera”. Roberto Saviano fa il punto della situazione politica: il che significa, in sostanza, il destino del Ministro in questa fase di passaggio dal governo pentastellato a chissà cosa altro. Lo scrittore – o ex scrittore a seconda dei punti di vista – non fa sottili disamine politiche sui rapporti di forza in Parlamento, ma va dritto all’obiettivo. Salvini in galera, appunto.
Roberto Saviano vuole Matteo Salvini in galera, insomma, senza troppi giri di parole. Per dirlo usa i social e tira fuori uno slogan facile facile. Il motivo, o pretesto, sono i 134 migranti della Open Arms e il conflitto a spirale che, come sempre, le imbarcazioni delle Ong nel Mediterraneo provocano. Ma la polemica è, come sempre, tronca, circoscritta nella parte che fa più comodo, quanto necessario per trarne un hashtag e chiamare a raccolta gli haters di cui si duole, Saviano, quando prendono di mira lui. O forse non se ne duole, l’ex scrittore, e usa l’odio, almeno quanto dice di esserne vittima: due strategie comunicative speculari ed opposte, quelle di Salvini e del fu scrittore. Criticabili entrambe ma meno ipocrita quella del Ministrom sembra. E infatti il vicepremier – non per molto ancora – raccoglie e rilancia, serrando le fila per i prossimi giorni;
“I 134 migranti a bordo della #OpenArms, dopo essere stati ostaggio dei banditi libici, ora lo sono del bandito politico Matteo Salvini, il #MinistroDellaMalaVita – la Repubblica riporta le parole dello scrittore – Ma il destino di Salvini è il carcere, e questo lo sta capendo anche lui; basterà che si spengano le luci” scrive Roberto Saviano e sarebbe finito in carcere anche lui, da tempo, se copiare il lavoro altrui fosse stato reato. E potrebbe finire in carcere realmente, il fu scrittore, perché insultare un ministro resta un reato, per quanto odiose possano essere state le determinazioni del titolare di un Dicastero.
Ma il bambino Saviano a questo non pensa. E come una minuscola, miserevole divinità di qualche leggenda amazzonica fa e disfa la realtà a proprio piacimento. Il bambino sembrerebbe disposto a riconoscere nel ministro una figura istituzionale solo nella misura in cui tracciasse una politica Saviano friendly, a misura del fu scrittore. L’autore di Gomorra – autore al netto delle pagine copiate – insulta un uomo dello Stato, dunque, ma da quello Stato vuole essere protetto, a spese d’altri. E “gli altri” chi sono? Sono in buona parte coloro che hanno votato Salvini e non voterebbero lui, l’ex scrittore, se facesse politica sul serio e non per corrispondenza.
Dunque, dopo aver dedicato un banale, facile post alla scomparsa di Nadia Toffa – un pensiero va bene, ma un post porta like avrà pensato il Nostro – è arrivata l’ora dell’ennesima idiozia, con i consueti tratti di giovanilismo da comitato studentesco. Quello stile senza stile che immalinconisce Saviano. Eccolo dunque nell’eterna ricerca di un ruolo abbastanza fulgido da portare all’apice la sua ambizione vera, indefessa: quella di tombeur de femmes. Ma all’esito, per qualche imperscrutabile motivo che solo la fisiologia del suo narcisismo provinciale potrebbero svelare, eccolo: complessato e illividito. Rimugina frasi e rivendicazioni, ma alla fine tira fuori le solite parole di facile sdegno, forse per ricordarci che l’ingegno gli difetta, talvolta, e copia, all’occorrenza. Quanto tempo ha speso per pensare l’ennesimo post, un’ora, due? Ed ecco il risultato: frasi che un qualsiasi sinistro account Twitter potrebbe sillabare o imitare, per completa assenza di analisi, profondità, stile. Dov’è finito lo scrittore, ci si chiede. E’ mai esistito?
E ha così poca fantasia e verve, l’uomo Saviano, da non venire a noia a sé stesso. No: lui preferisce vedersi eroe in queste schermaglie con l’odiato ministro. Non ha niente di meglio né di peggio da odiare, Saviano. Forse perché sa che non è un criminale, Salvini, né un fascista, di quelli veri. Avremmo voluto vedere Saviano twittare contro Jorge Rafael Videla e altra gentaglia, fascisti veri, davvero meritevoli di marcire in galera. Ma non vuole fare il Victor Jara, il nostro Saviano, non è un eroe e non è stupido: preferisce giocare con i post ed i tweet in un teatro di marionette, a misura sua, che è quella del merchandising, nè più ne meno: il libro, il post, il tweet, la comparsata. Il suo nome, il brand della resistenza civile e i soldi, insomma. Resistenza civile a parole e forse neanche quelle, vista la maleducazione insistita, connaturata come una maledizione: la ramificazione di un cattivo albero che ha preso tutto lo spazio della sua finestra.
Ed ecco che il Ministro raccoglie e rilancia, scrive l’ Open: “Il signor Saviano mi vuole vedere in galera. Che faccio amici, gli do retta e mi dimetto o tengo duro?😉”. Dialogo tra i massimi sistemi, insomma. E c’è solo da capire chi ci perde a confrontarsi con l’altro. Forse, a conti fatti, il quasi ex Ministro. Perché è difficile andare oltre la propaganda sciatta e stantia del proprio ego spacciata per idealità ma odorante cancrena, la vacuità e il moralismo carognesco delle sortite di un certo Saviano. Quello che copia il lavoro altrui. E dice al mondo come deve comportarsi. Saviano che copia, continuiamo a ricordarlo, ad nauseam, come lui ricorda certi hashtag. Un uomo che prefigura il carcere per le malefatte del Ministro senza essere né giurista, né giudice né avvocato. E se lo fosse, parlando così significherebbe esserlo nel peggiore dei modi. Un uomo che ha così poco buon senso, Saviano, da non comprendere che la politica si vince con la politica non sognando il carcere per gli avversari. Un fascista di nome Videla amava il carcere e ci è finto lui, grazie al Cielo. Ma al peggio non c’è mai fine.
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Fonti: Repubblica, Open