53 persone identificate, 44 delle quali gravate dal provvedimento di custodia cautelare in carcere eseguito dalla polizia locale di Torino e dai carabinieri. È il bilancio dell’Operazione Athenaeum, nata nel dicembre 2012 a seguito di denuncia sporta da una cittadina nigeriana a carico di due suoi connazionali, per tratta di esseri umani e sfruttamento della prostituzione. Le dichiarazioni di un ex boss della mafia nigeriana.
L’inchiesta “Athenaeum”, nome che funge da recall alle origini della mafia nigeriana, è terminata il 13 settembre 2016 grazie all’ azione congiunta dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia Locale di Torino. L’esito ha condotto all’esecuzione di una misura restrittiva per 44 cittadini nigeriani-affiliati degli Eye e Maphite-operanti nella provincia di Torino, a Novara e Alessandria. Ma è solo di recente, e grazie all’intercettazione della Bibbia Verde, che il repertorio sulla mafia nigeriana si è arricchito. L’indagine, è stato spiegato dagli inquirenti, ha portato a scoprire “una grande organizzazione internazionale, dai contorni paragonabili alle nostre mafie, che minaccia, sfrutta e talvolta uccide; un fenomeno che appare da anni in pieno sviluppo, ben radicato nel territorio e operante a pieno regime, tanto da poter essere ormai considerato parte integrante del sistema malavitoso italiano”.
“Sono state monitorate diverse riunioni – hanno spiegato ancora gli inquirenti – dove si è comprovato giuridicamente il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, accertando un organigramma interno rigido e caratterizzato da una struttura piramidale”.
I reati accertati nel corso dell’indagine sono: rapina, tentato omicidio, lesioni personali, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, falsificazione di carte di credito, immigrazione clandestina, scrive Repubblica. Sia in primo grado che in secondo grado vengono confermate 44 condanne per 416bis contestate agli affiliati del gruppo Maphite. Dalle indagini della magistratura sono emersi legami internazionali in Canada, Regno Unito, Olanda, Germania, Malesia e Ghana.
Boss pentito svela gerarchie e riti
Nonostante 2700 pagine e 500 mila intercettazioni telefoniche, determinante è stato il contributo dell’allora 44enne nigeriano Nosayaba Kingsley Iyare, scrive La Stampa, soprannominato ‘Aye’. L’uomo con regolare permesso di soggiorno era un magazziniere al polo logistico dei supermercati a Biandrate; è stato condannato con rito abbreviato a 10 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e ulteriori reati satellite. Fra questi ultimi, l’indebito utilizzo di carte di credito che, come rivelato nell’operazione del 2012 Card&Bros, fruttava guadagni milionari. La sua collaborazione con l’autorità giudiziaria torinese ha svelato regole e punizioni, struttura gerarchica, riti di affiliazione, ruoli e cariche nel Cult dei Maphite. Più precisamente il reo confesso rientra nella Famiglia Vaticana, l’unica ufficialmente riconosciuta in Nigeria e fra le più potenti cosche mafiose. L’uomo durante le sue dichiarazioni agli inquirenti rivela di essersi confidato con il suo pastore, con l’intenzione di rinnegare l’appartenenza al Cult sopracitato. Non stiamo parlando di un membro qualunque, ma di uno di quelli che aveva il potere decisionale e che lo ha esercitato. Sia nel ruolo di chairman (ricoperto nel 2013), che in quello di don, Kinsgsley inizialmente ha tentato di difendersi dicendo di far parte di un’associazione di mutuo soccorso, ma di fatto era membro del Council of Professors, uno degli organismi al vertice della gerarchia dei Cult. L’ex-boss ha svelato come a rivestire ruoli di tale importanza siano immigrati non sospettabili, in regola e apparentemente integrati. Lo stipendio di un ‘don’ poi si aggirava intorno a cifre da capogiro: 35 mila euro ogni 3 mesi!
Fonti: La Stampa , Repubblica