Matteo Orfini e Maurizio Martina sono stati multati per essere saliti a bordo della nave Sea Watch, a gennaio scorso. I due hanno accusato i corpi dello Stato di aver teso loro una trappola, autorizzandoli a farli salire a bordo, salvo poi denunciarli.
Hanno sbagliato, e ora pagano i conti. Si appellano alle logiche umanitarie eppure, per la legge, hanno sbagliato. Non c’era solo Carola Rackete al timone della Sea Watch 3 – scagionata dalle accuse di tentato naufragio ma ancora indagata per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. A bordo, sono saliti anche i parlamentari Matteo Orfini, Graziano Delrio, Nicola Fratoianni per monitorare lo sbarco e dare supporto alla capitana e ai naufraghi. Ma la vicenda dell’imbarcazione rimasta in mare 16 giorni – mentre via terra si scontravano da una parte e dall’altra i sostenitori di idee e logiche diverse sulla questione immigrazione – non è nuova. Il format era già stato ripetuto nel gennaio quando scorso, quando Matteo Orfini era salito a bordo della nave Sea Watch 3, violando alcune norme sanitarie. Per questo, insieme a Maurizio Martina, è stato multato e denunciato al termine di un’audizione – informa l’Ansa – nella Capitaneria di porto di Siracusa. I due deputati sono stati ascoltati sui fatti dello scorso 28 gennaio, quando salirono a bordo della nave della Ong, per svolgere il ruolo di sindacato ispettivo. Per questo furono denunciati e multati.
A riaprire la questione ci ha pensato proprio il dem che, in un lungo post pubblicato sul suo profilo Facebook, accusa apertamente prefetto di Siracusa e comandante della Capitaneria di porto di avere teso a lui e a Martina una sorta di trappola, finendo poi per denunciarli.
“La vicenda forse la ricorderete: a gennaio salimmo sulla Sea Watch 3 bloccata dal governo al largo di Siracusa. E fummo denunciati per questo. Violazione dell’articolo 650 del codice penale”, scrive Orfini. Poi prosegue: “L’accusa è di aver disobbedito a un divieto di avvicinamento alla nave e di non aver osservato le norme di polizia relative alla libera pratica sanitaria”. Le cose però, non andarono così. Secondo quanto dichiarato dal dem, prima di salire a bordo i parlamentari incontrarono in prefettura prefetto e comandante della capitaneria ai quali notificarono la loro intenzione di salire per verificare le condizioni della nave, esercitando così le loro prerogative parlamentari di sindacato ispettivo. Dopo l’autorizzazione, gli organi competenti aiutarono a organizzare il tutto e comunicarono l’intenzione di salire a bordo della Sea Watch.
“Ma quando tornammo a terra fummo denunciati. Da quelle stesse istituzioni che ci avevano autorizzato a salire a bordo. Ovviamente dichiarammo subito che, a differenza di Salvini, qualora si fosse arrivati a processo avremmo rinunciato all’immunità”, prosegue il post. La memoria difensiva costruita dai parlamentari insieme ai legali avrebbe smontato le accuse e evidenziato che in realtà i politici saliti a bordo stavano facendo solo il lavoro lavoro.
Orfini si scaglia insomma contro quei “corpi dello Stato che rispondono al Governo”, reo di aver dato l’ordine, di averli autorizzati, e poi di averli denunciati. “Non interessa semplicemente il riconoscimento della liceità del nostro operato, che siamo certi arriverà. A noi interessa capire cosa è accaduto, perché non è normale. Almeno non lo è in uno stato di diritto”, conclude il post.
Anche il collega Maurizio Martina – condividendo il post di Orfini – ha dato conferma della versione sostenuta dal dem. “È andata esattamente così. Ci siamo mossi nel solco di ciò che la Costituzione dispone per l’esercizio del mandato parlamentare – scrive – Abbiamo informato e condiviso i passi con le autorità preposte che prima ci hanno autorizzato salvo poi denunciarci e multarci per le nostra attività ispettiva. È una vicenda che va chiarita fino in fondo perché fa emergere un cortocircuito pericoloso”.
Fonte: Matteo Orfini Facebook, Maurizio Martina Facebook, Ansa
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