Nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti in Lombardia, sono stati arrestati il Sindaco di Legnano Gianbattista Fratus; il vicesindaco Maurizio Cozzi e l’assessore Chiara Lazzarini. I tre sono indagati a vario titolo per turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e corruzione elettorale.
Mentre si ha notizia di un’ indagine sui voli di Stato effettuati dal Vicepremier Matteo Salvini, le indagini sulla politica a ridosso delle Europee subiscono una vistosa accelerazione. Finiscono in manette il Sindaco di Legnano Gianbattista Fratus, della Lega; il vicesindaco e assessore al bilancio Maurizio Cozzi, di Forza Italia; l’assessore alle opere pubbliche Chiara Lazzarini. I tre sono indagati a vario titolo per turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e corruzione elettorale, come riportato dall’Ansa. I finanzieri del comando provinciale di Milano hanno eseguito le disposizioni della Procura della Repubblica nell’ambito dell’operazione “Piazza pulita“.
L’amministrazione comunale di Legnano viveva da tempo periodi poco sereni, specie dopo l’elezione a Sindaco di Gianbattista Fratus, con il voto alle amministrative del 2017. Il leghista aveva già esperienza come assessore provinciale, consigliere metropolitano e comunale. La nuova giunta, fin dalla nascita, aveva avuto disguidi a causa di differenze di vedute tra FI e Lega, specie per la nomina di Chiara Lazzarini, coinvolta in vicende giudiziarie e per questo inizialmente esclusa. Solo nel febbraio 2019, dopo che Laura Venturini le ha ceduto il posto, la Lazzarini ha preso posto in giunta. Intanto, Franco Colombo, assessore alla cultura, ha abbandonato il consiglio scagliandosi duramente contro l’operato del Sindaco. Il tutto ha preso una piega diversa lo scorso 29 marzo quando la giunta era stata fiduciata dai consiglieri dell’opposizione e dal Presidente uscente del Consiglio comunale Antonio Guarnieri e sua moglie ed ex consigliere Federica Farina. L’arresto dei tre – la Lazzarin è ai domiciliari – colpisce ancora una volta il centrodestra lombardo.
Dieci giorni fa, l’operazione nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti a Milano, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano, aveva portato a 43 arresti, tra cui quello del Presidente della Lombardia Attilio Fontana, accusato d’abuso di ufficio in relazione alla nomina dell’ex socio di studio Luca Marsico per una consulenza, come riportato da Adnkronos. La maxi inchiesta su affari e tangenti tra Milano e Lombardia – guidata dai pm Luigi Furno, Adriano Scudieri e Silvia Bonardi, coordinati dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci – ha coinvolto diverse persone tra imprenditori e politici lombardi. Le accuse sono di associazione per delinquere aggravata dall’aver favorito un’associazione di tipo mafioso, corruzione e turbata libertà degli incanti, finalizzati alla spartizione e all’aggiudicazione di appalti pubblici. Finiti in manette anche l’ex consigliere comunale di Milano Pietro Tatarella; l’ex sottosegretario regionale Fabio Altitonante; il deputato Diego Sozzani.
Tra i nomi spuntano anche quello del presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti e dell’eurodeputata forzista Lara Comi, come riportato da Il Corriere della Sera. Il primo avrebbe infatti versato 31mila euro alla società della Comi, per una consulenza in marketing che le è costata un’accusa di finanziamento illecito. “Accusa assurda, non avevo nessuna necessità di una falsa consulenza per ricevere un finanziamento politico”, sostiene l’eurodeputata. A sua difesa, l’avvocato Gian Piero Biancolella: “Lara Comi ha due lauree in Scienze economiche e Management internazionale e un master. Era perfettamente in grado di prestare quella consulenza”.
Lara Comi sembra vantare già quale precedente. Infatti – secondo quanto risultato in un’intercettazione dello scorso novembre – una società riconducibile all’eurodeputata avrebbe dovuto ricevere come primo accontoo 38mila euro in un cambio di una consulenza da parte dell’ente pubblico Afol. A parlare al cellulare erano Giuseppe Zingale, direttore generale della stessa Afol e Nino Caianiello, ex coordinatore, ritenuto l’artefice del sistema corruttivo, insieme con Loris Zaffra, ex fedelissimo di Bettino Craxi e tra i protagonisti dell’epoca di Mani Pulite.
“Veniamo sulle due cose, uno questa cretina della Lara a che punto stiamo? perché io la vedo sta sera, così gli faccio lo shampoo“, chiede Caianello. “Il 17 già liquidato, 21 gli ho fatto il contratto, però se questo si muove se no io col cazzo……”. La conversazione prosegue a frasi interrotte, fino a quando si fa più chiara: “Vabbè ma alla fine quanto ha preso questa?”, chiede Caianello. E Zingale risponde: “Per il momento 38, però se non mando i segnali…può arrivare ad un monte di 80!”.
Zingale poi si rivolge a Zaffra: “Eh allora! Se non vediamo non vedrà più nemmeno lei! giusto Loris?”. Dopo l’arresto dei due, Lara Comi aveva smentito e rigettato tutte le accuse: “La mia società non ha nulla a che spartire con le consulenze sotto inchiesta e non ve ne è nessun’altra a me riconducibile“. Secondo Zingale, come spiegato al gip Raffaella Mascarino, non c’è stato alcun ritorno in termini economici dei contratti di consulenza da 38mila euro, assegnati ad un avvocato che la Comi aveva indicato per un progetto di Afol. Due giorni fa, quest’ultima è stata sentita in Procura come teste.
Chiara Feleppa
Fonti: Ansa, Adnkronos, Il Corriere della Sera
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