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Renzi, con il Jobs Act voleva cambiare l’Italia: ma le aziende sono fallite

Una volta tutto quello che Matteo Renzi toccava diventava oro. Oggi il suo tocco non è più magico come un tempo; non più, almeno, in senso positivo. Tutto ciò a cui l’ex Premier auspica si capovolge poco dopo nel suo opposto. Le sue profezie si avverano, certamente, ma in direzione contraria. E così come l’Ads, azienda di Pomezia che si occupa di information technology, è passata dall’essere un “modello perfetto” a un fallimento a tutti gli effetti. Ma l’ex Premier sembra concentrato su altre: ma del “bagno di sangue” che avrebbe causato il Governo non c’è traccia.

Molto di quello che dice l’ex Premier Matteo Renzi si capovolge nel suo opposto. Sembra una sorta di maledizione, visto che il “bagno di sangue” – quale doveva essere l’azione del Governo giallo-verde – sembra essersi trasformata in un avvio di ripresa. I dati Istat parlano chiaro, e l’Italia è finalmente fuori dalla recessione, con una serie di circostanze favorevoli, e di certo conseguenti l’una con l’altra, che hanno visto l’aumento del pil allo +0,2%; crescita dell’occupazione e calo della disoccupazione; aumento dei contratti a lungo termine. I numeri non lasciano spazio a interpretazioni e se certamente c’è ancora bisogno di fare altro, e che tutto questo non basta di certo – l’ha ricordato Sergio Mattarella – è comunque un dato positivo e da non trascurare. L’azione di Di Maio e di Salvini sembra funzionare, anche se c’è chi ancora non digerisce il binomio.

Nessuno accetta, in poche parole, che ci sia al Governo un’alleanza tanto strana al pensiero eppure che concretamente sembra funzionare, nonostante si siano accoppiati il diavolo e l’acqua santa, il nero e il bianco. E se la fine sembrava essere un sospetto di molti, e al contempo un’ipotesi plausibile, molti hanno dovuto fare dei passi indietro e ricredersi sulle ipotesi catastrofiche. Ma c’è chi non ci sta a ritrattare, e insiste. Così, il Governo cadrà e toccherà al PD rimettere insieme i pezzi, come ha fatto notare Maria Elena Boschi. E si spera che l’ex Ministro possa avere davvero le stesse doti profetiche dell’ex Premier. Ma, se così non fosse, Renzi basta a se stesso e la garanzia che tutto ciò che dice poi si avvera nel suo esatto opposto, ce l’abbiamo già dalle sue parole. Facciamo un passo indietro.

Il caso Ads

L’Ads di Pomezia – “Assembly Data Sistem” – era, per Matteo Renzi, una “società modello“. Nel 2016, l’ex Premier si era recato alla sede di Ads, a favore di telecamera di Porta a Porta, per mostrare il modello di un’Italia che lavora, fatta di “realtà che scommettono sull’innovazione e gente che rischia”. Ovviamente non aveva mancato di sottolineare le 500 assunzioni fatte dalla Ads grazie al Jobs Act approvato un anno prima dal suo Governo. L’apparenza però inganna, a volte, visto che l’azienda in realtà non era così salda come volevano farci credere, tanto da arrivare poco dopo al fallimento. A dirlo fu l’Amministratore delegato Pietro Biscu: Noi siamo morti a fine 2016. Se non siamo falliti prima è solo perché il sottoscritto e il resto dei dirigenti hanno cercato di salvare quanta più gente possibile”. E se è vero che il Jobs Act ha permesso ad Ads di assumere, sostenne Biscu, la crescita reale dell’azienda avvenne nel 2009, ben prima dell’arrivo a Palazzo Chigi di Renzi.

Nonostante un fatturato di 120 milioni, Ads si ritrovava infatti in difficoltà, con 1700 stipendi da pagare e clienti che dall’altra parte saldavano a 180/240 giorni, come riportato da Il Corriere della Città. Così Biscu tentò di salvare l’azienda cercando un investitore esterno che potesse pagare il debito con il Fisco: 9 milioni di euro da versare entro fine dicembre 2016. La scelta ricadde su Luigi Dagostino – general contractor pugliese ed ex socio del padre di Matteo Renzi, con il quale è condvide alcune vicende giudiziarie – che ad ottobre 2016 comprò il 65% delle quote di Ads dai vecchi fondatori, la famiglia Emiliani.

Verso il fallimento

A questo punto, il caos. A dicembre 2016 si vociferava che Ads fosse vicina all’acquisto di Vitrociset, una società legata alla sicurezza nazionale, che gestiva la rete dati delle Forze di polizia, quella di Bankitalia e la rete fonia periferica dell’Agenzia delle entrate. Un acquisto legato a motivi politici, si disse: tuttavia Biscu ha sempre smentito. Ma quando Ads non acquista, Dagostino ritira le sue quote, chiedendo la restituzione dei 4 milioni di euro e rifiutandosi di pagare il debito con il Fisco. “Col senno di poi” – conclude Biscu – “mai avrei fatto entrare in società Luigi Dagostino. Ci saremmo organizzati diversamente per andare avanti. Il suo ingresso è stato deleterio per le vicende note a tutti”. 

Insomma, i legami tra Dagostino e Renzi non avrebbe fatto bene asd Ads. Chissà perché, però, l’ex Premier guarda sempre nelle case degli altri. E mentre va in giro a profetizzare fallimento, ci sono storie controverse di cui non parla con piacere. E il caso di Ads è solo un esempio. Si potrebbe continuare, la lista è lunga, ma alla fine non ce n’è bisogno: l’oblio di Renzi è chiaro e, per sua sfortuna, non tutti hanno la sua stessa capacità di prevedere un futuro che si capovolge nel suo opposto.

Fonti: Il Corriere della Città, Porta a Porta

Pubblicato da
Valentina Colmi

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