La chiusura di Radio Radicale è “una perdita per il nostro Paese”. L’ha sostenuto Emma Bonino, scesa in piazza tra palloncini gialli per provare a salvare l’emittente radiofonica dalla chiusura dopo la decisione del Governo di non rinnovare la convenzione stipulata nel 1994.
Radio Radicale chiude i battenti dopo una riduzione dei fondi ad essa destinati, come riportato dall’Ansa. L’emittente del Partito Radicale, che trasmette integralmente le sedute parlamentari, basa la sua sopravvivenza esclusivamente sui fondi pubblici, vista l’assenza di pubblicità, che riceve dal 1994 grazie ad una convenzione con lo Stato. Radio Radicale riceve da allora, annualmente, due finanziamenti pubblici. Il primo, quello offerto dal Ministero dello Sviluppo economico in cambio della trasmissione delle sedute parlamentari, è pari ad una cifra pari a circa 10 milioni di euro l’anno, a cui vanno aggiunti 4 milioni di euro destinati al sostegno dell’editoria.
Infatti, sulla base della legge 230 del 7 agosto 1990, si stabilisce che lo Stato finanzia le “imprese radiofoniche private che trasmettono quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno di nove ore comprese tra le ore sette e le ore venti”. Ma Radio Radicale – l’unica rimasta ancora beneficiaria, fino a poco fa, della legge 230 – che contava su 14 milioni di contributi, poi ridotti a dieci, è stata presa di mira dalla misura di Governo che, con la nuova legge di bilancio, ha dimezzato lo stanziamento ed ha scelto di non rinnovare la convenzione stipulata nel 1994, anche per l’assenza di una valutazione e di una gara.
“Nessuno ce l’ha con Radio Radicale o vuole la sua chiusura ma sta nella libertà del Governo farlo”, ha detto Vito Crimi, sottosegretario dell’editoria, affermando che l’emittente “ha svolto da 25 anni un servizio senza alcun tipo di gara e valutazione dell’effettivo valore di quel servizio”. La convenzione, in sostanza, è stata rinnovata negli anni come una concessione, una cosa dovuta. Dopo attente valutazioni, è stato invece notato come il suo servizio può essere svolto da Rai Parlamento, un servizio pubblico e istituzionale che ha lo stesso compito dell’emittente. In più, sborsare fondi pro bono non sarebbe più una scelta meritocratica.
In piazza per salvare Radio Radicale
Ufficialmente, Radio Radicale chiude il 20 maggio e le ipotesi di un’ipotetica collaborazione con la Rai sembra azzardata e futuristica. Per questo, centinaia di cittadini e rappresentanti di quasi tutti i partiti, tra cui Emma Bonino, si sono radunati in piazza della Madonna di Loreto, tra palloncini gialli e slogan di Einaudi, nel giorno di Pasqua, dove si è tenuta una manifestazione per chiedere di salvare Radio Radicale. Il taglio dei fondi da destinare a piccole realtà di giornalismo che garantiscono libera informazione ha trovato un punto di attacco da parte delle opposizioni, come riportato da Il Corriere Della Sera.
“Polemiche a parte, la chiusura di Radio Radicale è una grande perdita per il Paese; è stata la più grande università popolare di politica istituzionale e non solo. Non ha senso volerla chiudere o, peggio ancora, sentirsi dire di andare sul mercato“, ha detto la Bonino. La leader di +Europa ha definito le dichiarazioni di Crimi come totalmente imprecise, ma non si è dilungata in altro se non ad affermare il contrario. Cioè: “Radio radicale vinse una gara del ’94 e ogni anno ha chiesto di aprire una gara che non c’è mai stata”.
Due tesi opposte ma chi, meglio di lei, potrebbe battersi per salvare il salvabile di una Radio che si fa portavoce del suo partito e della sua linea di pensiero? Il Partito Radicale, prima della scissione, puntava sulla Bonino come uno dei suoi massimi rappresentanti. E ora, così come sembra vicino il declino della senatrice che riceve fondi da George Soros, allo stesso modo è vicino il declino dell’emittente che sopravviveva grazie ai soldi pubblici per diffondere una linea di pensiero e di contenuti a senso unico. Senza gara, senza appalto e senza lode.
Fonti: Ansa, Il Corriere della Sera