“Vado al lavoro” Ma lascia a casa la fede e l’orologio. Il figlio lo trova morto

Rocco Greco, imprenditore di Gela a capo della Cosiam, si è ucciso. In passato aveva avuto problemi con la Mafia.

Rocco Greco era un uomo distinto, sapeva il fatto suo, non si piegava davanti a nessuno, nemmeno davanti alla Mafia. L’uomo era a capo della Cosiam, un’azienda che trattava dello smaltimento e della rimozione dei rifiuti e che gestiva appalti in tutta Italia. Ha trascorso anni interi della sua vita a battersi contro la Mafia, riuscendo ad incastrare undici malavitosi che lo minacciavano giorno e notte, come riportato dall’Ansa.

Nel 2008 si era barricato, con altri imprenditori, sul tetto dell’edificio che ospitava l’Ato Cl2, per protestare contro una gara d’appalto ritenuta irregolare. Aveva fatto parte del direttivo dell’associazione antiracket e antiusura di Gela Gaetano Giordano. Nello stesso periodo aveva denunciato e fatto arrestare 11 componenti del racket delle estorsioni che lo stavano taglieggiando.

Denunciare i boss del pizzo mi è costato caro“, ripeteva alla moglie negli ultimi tempi. “Era finito dentro una storia paradossale“, racconta oggi il figlio Francesco. Dopo anni e anni di minacce da parte della Mafia, l’ennesima volta, piuttosto che abbassarsi, Rocco Greco, con coraggio, ha denunciato i suoi strozzini. I boss però non erano propriamente d’accordo con lui. Per difendersi, gli estorsori hanno sostenuto in Tribunale che l’imprenditore fosse un loro amico. “Lui è una vittima della Mafia, non un socio dei boss”, ha detto il Giudice convinto. Ma l’assoluzione nei confronti di Greco è stata inutile, come riportato da Il Corriere della Sera.

A Greco è stata negata l’iscrizione alla White List, dalla Prefettura di Caltanissetta, che lo avrebbe aiutato a ricostruire la sua azienda, dopo il terremoto che l’aveva distrutta. Il motivo? “Nel corso degli anni ha avuto atteggiamenmti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese” scrive la “Struttura di missione antimafia sisma” del Ministero dell’Interno. Questo provvedimento diventa il colpo di grazia di Rocco. L’imprenditore perde tutti gli appalti. Ed è così che pensa e arriva al suicidio.

Mercoledì, Rocco si sveglia alle 5:30 del mattino per andare a lavoro, come sempre. “Vado in azienda, devo controllare alcune carte”, dice alla moglie. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare cosa sarebbe successo da lì a poco. “Io ho attaccato più tardi, quando sono arrivato papà non era in ufficio. Molto strano, pensai. Aveva lasciato la fede e l’orologio a casa“, racconta il figlio Francesco. Ed è stato lui a ritrovarlo in un container, in una pozza di sangue. Rocco Greco si è sparato un colpo alla tempia. Il motivo? Una storia di criminalità alle spalle, contro la quale aveva lottato, per anni, e inutilmente.

Eppure, come ripete l’avvocato Alfredo Galasso, “proprio con la denuncia aveva scelto di non essere più supino a quel sistema che vigeva a Gela”. La sua storia lascia tanto amaro in bocca. Tanti lo conoscevano, sia per via della sua azienda familiare ed anche per lo spazio che l’imprenditore si era ritagliato con le sue denunce.

Greco non riusciva proprio a tollerare che la sua azienda fosse stata espulsa dalla White list, nonostante la risoluzione positiva della vicenda giuridica a suo carico. “Avevamo lavori in Emilia, Friuli, a Genova, in Campania e Calabria, e poi ovviamente il grosso in Sicilia. Avevamo appalti con Enel, Raffineria di Gela e Lukoil. Li abbiamo persi tutti” ricostruisce ora il figlio. “Volevamo cedere le chiavi al prefetto, eravamo disposti a fare un passo indietro per il bene dell’azienda e dei dipendenti. L’importante era non perdere gli appalti, noi nel frattempo avremmo dimostrato di essere persone per bene. Ma in Italia questo non si può fare”, dice Francesco che ora continuerà, in nome del papà, la battaglia contro l’illegalità.

Chiara Scrimieri

Fonti: Ansa, Il Corriere della Sera

 

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