Il caso di Angelo Peveri, l’imprenditore di Piacenza condannato a 4 anni e 6 mesi per aver sparato a dei ladri, ha diviso l’opinione pubblica, Magistrati e il Vicepremier Matteo Salvini.
Angelo Peveri è l’imprenditore che, la notte tra il 5 e il 6 ottobre del 2011, sparò con un fucile a una banda di ladri rumeni che si erano introdotti nel suo cantiere di Borgonovo Val Tidone, vicino Piacenza. La Corte di Cassazione ha confermato per lui la sentenza di secondo grado a 4 anni e 6 mesi, tanto che Peveri si trova ora al carcere di Piacenza, con l’accusa di tentato omicidio. A sostegno della causa dell’imprenditore si è schierato il prima fila il Vicepremier Matteo Salvini, che oltre ad avere telefonato Peveri, gli ha già fatto visita in carcere. Per l’imprenditore si sono mosse anche varie raccolte firme e la Lega di Piacenza ha assicurato tutto il sostegno possibile per sostenerne la causa, come riportato da Il Corriere della Sera.
Il sostegno per “l’omicida”, da parte di Salvini, ha lasciato a bocca aperta Dorel Jucan, uno dei ladri colpito dal fucile di Peveri, rimasto gravemente ferito, come riportato da Repubblica. “Sono spaventato e addolorato. Non pensavo si arrivasse a questo punto. Con tutte le persone che dicono che è giusto avermi sparato, non vedo perché uno di loro non dovrebbe aspettarmi sotto casa, o spaccarmi i vetri”. Poi, il ladro, ricorda quella sera: “Eravamo andati in tre per prendere del gasolio, per uso personale. Non per fare business. Ero rimasto senza lavoro, ne avevo trovato uno a sessanta chilometri, ma con lo stipendio e le spese che avevo non ce la facevo”.
I ladri, entrati nel capannone, hanno aperto il coperchio del serbatoio, ma dopo dieci minuti è arrivata un’auto. Allora sono scappati, verso il fiume Tidone, poco distante. Rincorsi dall’auto, due colpi in aria, per spaventarli. Poi, dice Jucan: “Peveri mi ha fatto mettere le mani dietro la testa, inginocchiato. Mi ha picchiato con il fucile. Ricordo il fuoco del colpo, il caldo sul petto, il braccio destro rotto. Poi, la rianimazione”, ricorda.
Jucan sembra sentirsi la vera vittima della situazione: “Se mi avesse ammazzato, chi avrebbe cresciuto le mie bambine?”, si chiede. Nessun contatto successivo tra lui e Angelo Peveri, se non qualche sguardo al processo. La sentenza è giusta, a detta del ladro, secondo cui l’azione dell’imprenditore non sarebbe stata legittima difesa. “Nessuno è solidale con me, sto male. Sono invalido al 55% ma se mi offrono un lavoro pesante non posso rifiutare, non posso scegliere. Ora faccio il magazziniere. E penso a cosa spiegare alle mie tre figlie”, dice.
Eppure, Salvini, dal Viminale si schiera dalla parte di chi ha sparato a sangue freddo. E’ andato a trovare Angelo Peveri nella casa circondariale di Piacenza, per esprimergli la sua solidarietà. “Ho trovato una persona per bene”, ha detto dopo la visita. “Da italiano la sensazione è di qualcosa che non è giusto, perché che sia in galera un imprenditore che si è difeso dopo 100 furti e rapine e sia a spasso il rapinatore in attesa del risarcimento danni, questo mi dice che bisogna cambiare presto e bene le leggi”. La legittima difesa, ha poi spiegato il Vicepremier, non è un invito a farsi giustizia da soli: ma confermare il diritto personale alla difesa, in nome del rispetto del buon senso. Il Ministro dell’Interno si è detto anche possibilista sull’idea di rivolgersi al presidente della Repubblica per chiedere la grazia a favore di Peveri. Non sarebbe, del resto, la prima volta.
Eppure, le dichiarazioni di Matteo Salvini hanno scatenato l’ira dei Magistrati, che si sono divisi sulle dichiarazioni, aperte proprio dal caso Peveri. L’espressione “Non deve restare in cella” viene giudicata fonte di “delegittimazione del sistema giudiziario“, oltre che, dicono, “lesive dell’operato dei magistrati, che hanno agito sulla base delle leggi attualmente vigenti”.
Anche Armando Spataro, l’ex Procuratore di Torino, a proposito della visita di Salvini, ha commentato negativamente. “Siamo di fronte a un episodio sconcertante. Il giudizio non tocca a lui, non rispetta le competenze dell’autorità giudiziaria”. Secondo Spataro, la legittima difesa è “una norma manifesto, diventa una sorta di brand, come è avvenuto anche con l’immigrazione, come se la sicurezza vincesse su tutti gli altri diritti previsti dalla Costituzione, e questo non è accettabile”.
Intanto, il ladro è libero. Avrà un risarcimento. E si lamenta, anche: “Non so se oggi consiglierei l’Italia”, dice. Allora, potrebbe pensare di tornare da dov’è venuto.
Fonti: Il Corriere della Sera, Repubblica
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